Il Tirreno

L’intervista

Emdin, il medico pisano di Oliviero Toscani: «L’amiloidosi si può curare, come l’ho scoperta e le armi per combatterla»

di Giuseppe Boi

	Oliviero Toscani e il professor Michele Emdin
Oliviero Toscani e il professor Michele Emdin

Parla il cardiologo direttore del Dipartimento cardiotoracico della Fondazione Monasterio e docente alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa: «La medicina batte la paura e lui è un guerriero»

28 agosto 2024
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«Quando ho letto le dichiarazioni di Oliviero Toscani gli ho inviato un messaggio: “È un privilegio averti conosciuto, ma la tua malattia non è incurabile, finché te lo dico io non hai bisogno di Cappato”». Michele Emdin è così: diretto e immediato. Quello che per i suoi pazienti è il dr. House pisano, il medico delle diagnosi impossibili, è così con tutti i pazienti: senza giri di parole. Il docente di cardiologia alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e direttore del Dipartimento cardiotoracico della Fondazione Monasterio è balzato – per l’ennesima volta – agli onori della cronaca per una diagnosi che per lui è quasi una normalità. Il paziente è però il fotografo più famoso d’Italia a cui, all’età di 82 anni, Emdin ha diagnosticato l’amiloidosi, vale a dire una malattia che causa il deposito di proteine in alcuni organi vitali tra cui il cuore. Una malattia grave, per la quale il professore pisano ha individuato un piano terapeutico con farmaci tradizionali e sperimentali.

Questa malattia è incurabile?

«No, non è vero. Oliviero Toscani è una persona splendida, è un paziente disciplinato ed è un guerriero del trattamento terapeutico che abbiamo stabilito per combattere questa malattia. Detto ciò, questa malattia non è affatto incurabile. Ci sono dei farmaci che curano sia le conseguenze, cioè contro lo scompenso cardiaco, sia la progressione della malattia».

Lui ha detto di sentirsi una cavia che affronta una cura sperimentale.

«È una battuta ironica, nello stile di Oliviero. Ci sono nuovi farmaci in sperimentazione, anche presso il nostro Centro, con un’alta probabilità di efficacia. Alcuni agiscono direttamente sull’amiloidosi, ossia sulle proteine depositate dalla malattia nell’organismo con l’obiettivo di rimuoverle dal cuore. Altre che addirittura vanno a silenziare il gene che produce la proteina malata».

Prima di essere visitato da lei ed essere arrivati a una diagnosi, Toscani è stato ricoverato tante volte, perché?

«Purtroppo, fino a poco tempo fa, la percezione della classe medica di questa malattia non era adeguata. Quindi si arrivava spesso alla diagnosi tardivamente. Una diagnosi e una terapia precoce prevengono l’evoluzione della malattia. L’aumento della consapevolezza dei medici circa le condizioni che ne pongono il sospetto e circa l’iter diagnostico è uno degli obiettivi che con i miei collaboratori abbiamo perseguito con l’edizione di libri e l’organizzazione di eventi formativi».

Ci sono diversi tipi di amiloidosi, quella che ha colpito Toscani di che tipo è?

«Ci sono due forme principali di amiloidosi. Quella che ha colpito Toscani è l’amiloidosi da transtiretina».

Ossia?

«Tutto parte da una proteina che trasporta nell’organismo la vitamina A e l’ormone tiroideo. Questa proteina a un certo punto della vita del soggetto si instabilizza e produce i mattoni delle fibrille di amiloide che vanno a infiltrare l’interstizio del cuore producendo la disfunzione alla base dello scompenso e dei sintomi ricordati dal paziente: affaticamento, affanno e gli edemi».

È una malattia che può colpire tutti? E quanto è rara?

«È una malattia prevalente nell’età senile, ma non è una malattia così rara. È collegata a circa il 10% dei ricoveri in ospedale per scompenso cardiaco. Il segreto per combatterla è interpretare da subito i segnali che manda al nostro corpo».

Quali sono i sintomi?

«Ci sono degli antecedenti clinici. Delle “red flags”, ossia delle bandierine rosse, che anticipano di alcuni anni la malattia del cuore. Ad esempio la sindrome del tunnel carpale (una patologia che crea dolore e disturbi alla mano per la compressione del nervo mediano, ndr) , la stenosi del canale midollare (il restringimento dello spazio che contiene il midollo spinale e le radici nervose, ndr) , la rottura del tendine del bicipite, del braccio e l’intervento di protesi d’anca o ginocchio. I medici che raccolgono nella storia del paziente queste condizioni possono richiedere un approfondimento diagnostico attraverso il dosaggio di biomarcatori, l’esecuzione di esami come l’ecocardiogramma, la scintigrafia e la risonanza magnetica del cuore».

A che età ci si ammala?

«Nella forma senile l’età media, attualmente, è superiore ai 70 anni. C’è poi una forma mutata, cioè geneticamente determinata. In Italia ci sono alcuni cluster geografici nel Mugello, in Sicilia e in Piemonte. Le forme genetiche vengono diagnosticate intorno ai 50 anni».

Che paziente è Oliviero Toscani?

«È un uomo con un’intelligenza straordinaria. La mente di un giovane adulto con una lunga esperienza di vita. Non ha assolutamente tirato i remi in barca e ha tante persone che lo amano e lo seguono. È comprensibile come la malattia sia un fardello emotivo, per lui come per tutti i pazienti e i “caregivers”».

Dalle sue parole, però, emerge paura. Parlando con lei il messaggio, invece, sembra diverso.

«Sì. La paura si combatte con gli strumenti della medicina e con la relazione medico paziente che si nutre di fiducia reciproca e di amicizia. Come detto, questa è una malattia curabile. Alla Fondazione Monasterio su questa malattia c’è un centro di diagnostico e di ricerca che è di livello internazionale. I pazienti con amiloidosi devono sapere che esistono gli strumenti per migliorare la loro qualità e aspettativa di vita».

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