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Pinocchio ora si gode la pensione, Andrea Balestri lascia il lavoro. Fu scelto da Comencini grazie a un quadro spaccato
La Geofor è stata la sua seconda casa dopo la fiction del ’72 in cui interpretava il burattino di Collodi tenendo incollati alla tv milioni di italiani
PISA. «Dunque, so già perché mi volete intervistare e anche il titolo che farete: “Pinocchio va in pensione”, vero?» Comincia così l’intervista ad Andrea Balestri, il “Pinocchio” di Comencini, stessa spontaneità e ironia di quel bambino di sette anni entrato nella storia della televisione interpretando il burattino di Collodi nello sceneggiato che nel 1972 tenne incollati alla tv milioni di italiani. Grazie anche a un cast da favola con Nino Manfredi nei panni di Geppetto, Gina Lollobrigida in quelli della Fata Turchina, Vittorio De Sica nel ruolo del giudice e Franco Franchi e Ciccio Ingrassia in quelli del Gatto e della Volpe. Battuta ancora pronta, anche se il 1° settembre compirà 61 anni e da due giorni è pensionato.
Felicemente?
«Penso di sì, ma è presto per dirlo. Di sicuro stamani (ieri, ndr) la sveglia alle 6,30 non è suonata ed è già qualcosa. Anche se a Geofor (l’azienda per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti in tanti comuni del territorio pisano e in cui ha lavorato per 33 anni, ndr) sono stato benissimo. Ci tengo a dirlo e anche a ringraziare i colleghi e i miei responsabili. E poi mi faccia dire un’altra cosa...»
Quale?
«Vado in pensione dal mio lavoro, ma è impossibile che possa andare in pensione Pinocchio (sorride, ndr) ».
A proposito, perché nell’immaginario di tutti l’unico “Pinocchio” è rimasto il suo, anche se dopo tanti grandi attori si sono cimentati nel personaggio di Collodi?
«Io ero un bimbo di sette anni molto spontaneo e vispo e anche piuttosto irriverente. In un certo senso, quindi, il “Pinocchio perfetto” perché credo che chiunque abbia letto il romanzo immagini il burattino proprio così».
Come è successo, però, che un bambino di un rione popolare di Pisa sia divento il protagonista dello sceneggiato di Comencini?
«Perché ho spaccato un quadro (ride, ndr)».
Come, scusi?
«In buona sostanza è così davvero: il regista cercava un bambino toscano che fosse proprio vispo, spontaneo e un pizzico irriverente. Per questo mandò due fotografi in giro per tutte le scuole della Toscana che scattarono circa tremila primi piani. Vi fu un percorso di selezione ma alla fine rimanemmo in sette e fummo convocati a Roma per il provino definitivo. C’era Comencini e uno di noi sarebbe “diventato” Pinocchio».
Che successe?
«Alla parete c’era un quadro e su un tavolo avevano messo un martello. Comencini chiese a ciascuno di noi se avessimo avuto il coraggio di rompere il quadro. Nessuno degli altri lo fece. Io sì: presi il martello e lo lanciai contro il quadro, mandando in frantumi il vetro».
Fu così che diventò Pinocchio?
«Sì ma in casa nostra lo sapemmo un mese dopo. Nell’immediato, infatti, il regista finse di arrabbiarsi e cominciò a dirmi che avevo fatto un danno enorme e che avrei dovuto ripagarlo. E io gli risposi un po’ alla pisana».
Ossia?
«Gli dissi: “Oh bellino, me l’hai detto te di romperlo: io non ti ripago proprio un bel nulla” e me ne andai. Fuori, ovviamente, c’era mio padre ad aspettarmi e, quando gli raccontai l’accaduto, rimediai anche un bel calcio nel sedere. Poco più di un mese dopo ci comunicarono che ero stato scelto».
Chi era Andrea Balestri prima di diventare Pinocchio?
«Un bimbo di sette anni che abitava al Cep, un rione popolare dove ho vissuto per cinquant’anni. Ero vivace come tanti bambini del quartiere: mi ricordo i pomeriggi infiniti a giocare a pallone e tanta vita all’aperto».
Da lì a essere il protagonista di uno sceneggiato con un cast di divi è stato un bel salto.
«A posteriori sì. Ma a quell’età non me ne resi tantissimo conto. Fra l’altro tutti mi circondavano di grandissimo affetto e attenzioni: le truccatrici e le costumiste, che erano pure loro mamme e per il quale ero un po’ come un figlio. Ma soprattutto il cast: Luigi Comencini per me è stato come un secondo babbo, gli ho voluto un bene enorme. E Nino Manfredi uno zio: con me ha avuto una pazienza infinita e ha fatto di tutto per mettermi a mio agio in modo che emergesse la mia spontaneità. Interpretando Geppetto, infatti, sono state tantissime le scene che abbiamo girato insieme. Ma mi sono divertito tanto anche con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia».
Non ha citato la Lollobrigida.
«Con lei qualche piccolo problema c’è stato: ma oggi non ne parlo volentieri».
Perché?
«Lei è stata un’attrice straordinaria e oggi non c’è più: non mi pare elegante farlo. Credo comunque che si sentisse un po’ messa in disparte da truccatrici e costumiste perché, essendo un bambino molto piccolo, tante attenzioni erano dedicate a me. Forse era un pochino gelosa».
Che cosa ha significato per lei quello sceneggiato?
«Tantissimo. In primo luogo perché per diversi anni ho fatto star bene economicamente i miei genitori. Poi ho avuto la possibilità di fare nuovi amici ed esperienze che mi hanno fatto crescere».
Per quale motivo, pur avendo fatto molte cose nello spettacolo, non ha fatto l’attore a tempo pieno?
«In realtà non saprei rispondere: al tempo ero piccolo e mi seguiva mio babbo che poi decise di farsi aiutare da una agente. Mi risulta che cominciò a sparare cifre molto alte per il mio compenso, così le richieste si diradarono».
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