Il Tirreno

L'intervista

Eleonora, i progetti della livornese vincitrice di Masterchef: «Voglio un posto in campagna dove cucinare e accogliere»

di Dario Serpan
Eleonora, i progetti della livornese vincitrice di Masterchef: «Voglio un posto in campagna dove cucinare e accogliere»

Eleonora Riso si racconta: le idee sui piatti della tradizione e le scommesse. «Lavorare per Cannavacciuolo? Per ora è un due di picche...»

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LIVORNO. «Non ha senso, non ha senso, non ha senso». Lo ha ripetuto tre volte Eleonora Riso appena dopo la sua proclamazione a vincitrice della tredicesima edizione di Masterchef Italia. Incredula e un po’ scossa, la giovane livornese “fuori dagli schemi” che ha partecipato al al cooking show Sky Original prodotto da Endemol Shine Italy perché, diceva all’inizio, «mi voglio divertire», è arrivata in fondo e si è presa il premio più ambito: la gloria, il riconoscimento del suo talento e poi quei 100 mila euro in gettoni d’oro che certo non guastano.

In più pubblicherà il suo primo libro di ricette con la casa editrice Baldini e Castoldi (si chiamerà “Laboratorio di sapori” e uscirà l’8 marzo) e l’accesso a un corso di alta formazione di Alma, scuola internazionale di cucina italiana. Ma chi è Eleonora Riso, cresciuta a Collesalvetti, e come ha fatto a diventare la prima toscana vincere il talent?

La sua storia è singolare: nata 29 anni fa (il 17 agosto del 1994) e cresciuta in provincia di Livorno, dopo aver vissuto a Pisa si è trasferita per due settimane in Francia a fare la vendemmia, quindi è tornata a Firenze dove ha deciso di vivere in mezzo alla natura, in una «casa nel bosco» che è una sorta di “comune”: qui Eleonora ha imparato a tagliare la legna, coltivare l’orto e raccogliere le uova delle galline, oltre ad apprendere anche i segreti dell’apicoltura.

Ma quando e come si è avvicinata alla cucina per la prima volta?

«Ho sempre avuto la curiosità, quando la domenica preparavamo il pranzo in famiglia. Babbo è quello che si metteva a fare lunghe preparazioni, io gli davo una mano, poi la passione è nata anche dalla necessità: da piccola, quando andavo alle scuole medie, i miei lavoravano e io dovevo cucinarmi da sola il pranzo. E siccome a suon di farsi la pasta al pomodoro poi ti viene a noia, ho iniziato a sperimentare».

Tra Collesalvetti e Livorno, che ricordi ha della sua infanzia e adolescenza?

«A Collesalvetti ci siamo trasferiti quando io avevo 6 anni ed essendo un piccolo paese chiaramente c’era in me la voglia di scoprire altro, ma è comunque sinonimo di casa. A Livorno ho fatto il liceo al Cecioni e, una volta più grande, ho iniziato a uscire la sera con i miei amici. Mi ricordo un sacco di belle serate in Venezia o i tempi della bolgia in piazza Cavour».

La sua livornesità si è percepita assai durante il programma, anche dalle battute sincere e irriverenti, ma in cucina come se la porta dietro?

«A livello di cucina non sono mai stata troppo attaccata alle tradizioni. Certamente sono la base, il nostro patrimonio, ma a livello di ricette mi sono sempre discostata dalle tradizioni. La livornesità, però, ha influito nel mio amore per il pesce, tanto che per la prova finale a Masterchef ho portato un menù di pesce, tra cui un piatto a base di anguilla. Questo è un pesce che ho mangiato la prima volta quando me lo sono cucinato a casa, dopo che ero stata al porto di Livorno con degli amici e dei pescatori ci regalarono un’anguilla appena pescata. Era orribile alla vista, ma strepitosa da mangiare».

Da quanto abbiamo visto in tv, Masterchef per lei non è stata solo un’esperienza ai fornelli: l’abbiamo vista piangere, rivelare aspetti personali e fortificarsi. Come ne è uscita?

«Mi sono resa conto di tante cose che prima non conoscevo di me stessa, mi sono vista sotto un’altra luce, ho capito di avere delle qualità e che devo fidarmi del mio istinto».

Come si è trovata con i giudici Barbieri, Cannavacciuolo e Locatelli?

«Sono incredibili, non pensavo di trovare tanta umanità, sono persone fantastiche. Poi ho avuto un rapporto incredibile, assurdo, con lo chef Cannavacciuolo: anche solo gli sguardi che mi lanciava erano significativi, mi voleva sempre dire qualcosa e io sempre ho recepito. Ai miei genitori ha detto di avermi curata per tre mesi».

Le piacerebbe lavorare con lui?

«Parecchio, ma per ora è un due di picche. Ma è ancora presto (sorride, ndr), tra qualche giorno chissà…».

Dopo il trionfo, come cambia la sua routine nell’immediato?

«Vivo ancora a Firenze, ma è tutto in trasformazione. Adesso non c’è una routine, ma è il suo bello. Non faccio più la cameriera, mestiere che avevo iniziato per pagarmi gli studi di architettura all’università, che ho congelato per seguire questa mia passione per la ristorazione. Penso che mi piacerebbe trasferirmi per portare avanti il mio progetto».

E quale sarebbe?

«Voglio andare a vivere in campagna e trovare uno spazio per fare quello che mi va: accogliere le persone, fare da mangiare, coltivare, avere gatti, cani. Il mio futuro è la cucina, ma non solo, anche tutto il resto che c’è intorno».

Nella sua cucina ci sarà spazio anche per la sostenibilità e l’etica dell’alimentazione?

«Sì, ma in un senso più ampio. Per me la vera svolta etica passa prima dalla consapevolezza di cosa mangiamo, dell’atto stesso di mangiare. Tutto il resto viene dopo. Se abbiamo un legame con il cibo, che è ciò che ci dà vita, l’etica è scontata. Ovviamente io punto a sostenere questi valori». Ma quando si mette al tavolino, quali sono i suoi piatti preferiti? «Sono due: il baccalà bollito con maionese e ceci e la pasta in bianco».


 

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