Michele Mirabella: «Dico grazie al mio maestro delle elementari»
Da piccolo alunno dell’istituto Garibaldi di Bari ad amatissimo conduttore tv : «Ma sono nato come attore e regista teatrale: quella è e resta la mia passione»
Michele Mirabella non aveva una laurea in medicina, ma sul campo ne ha ottenute due, ad honorem. La prima in Medicina e Chirurgia e la seconda in Farmacia, conferitagli dall’Università di Ferrara. E pensare che lui, volto di “Elisir” (Rai Tre) da quasi 30 anni, divulgatore scientifico, autore, conduttore televisivo e radiofonico, nel presentarsi si dichiara «un regista. Anzi un attore. Io sono un attore», sottolinea fiero.
Un attore esperto di scienza?
«Mi occupo di scienza perché, da teatrante, sono capace di interpretare. Un medico non potrebbe condurre la trasmissione. Sarebbe una noia mortale».
La capacità di interpretare è talento innato o metodo impartito?
«Me lo hanno insegnato. È merito dell’incontro che mi ha “impostato” la vita. Dico impostato perché avevo nove anni quando ho incontrato questa persona e a nove anni tutto è coniugabile con la parola “futuro”. C’è poco da rivoluzionare a quell’età».
Era un bambino col grembiule bianco e il fiocco blu quando frequentava la terza elementare all’Istituto Giuseppe Garibaldi di Bari…
«Dove feci l’incontro più importante per il mio futuro lavorativo, che poi ha coinciso con la mia vita. In questo sono stato fortunato: molte persone agognano la pensione per poterci mettere “una pietra sopra”. Io no».
Ci racconti l’incontro che la ha “impostato” la vita.
«Cataldo Mastromauro, un maestro di scuola elementare, uomo affascinante con baffi bianchi e generosi e una voce bellissima che non dimentico. Forte di una dizione pressoché perfetta, che a Bari in quegli anni era cosa rara, Mastromauro ci insegnava a leggere, ma non come avevano fatto fino a quel momento gli altri insegnanti: lui non leggeva soltanto, lui interpretava. Perché leggere soltanto e leggere interpretando sono due cose ben diverse. Recitava i testi modulando il tono, il pathos e l’intensità in base alle esigenze del racconto e noi bambini restavamo a bocca aperta. Ci accorgemmo subito che era una storia del tutto diversa quando leggeva lui».
Lei sedeva al primo banco?
«Sedevo al terzo o quarto, ma imparai velocemente. Il maestro si accorse subito che ero bravo, mi incoraggiava: “leggi tu Mirabella”. Mi sforzavo di essere perfetto e notavo la sua espressione attenta e incuriosita. Mi inorgogliva. Coltivai questo talento leggendo come un pazzo. Gli altri bambini erano più bravi a pallone o con la ginnastica, io ero bravo a leggere. Un giorno il maestro disse a mio padre che avevo talento da vendere; tornò a casa contento».
La sua era una famiglia borghese?
«Appartenente ad una borghesia colta ed evoluta. Mia madre professoressa di lettere al ginnasio, figlia di un orafo gioielliere di fede liberale, consigliere comunale e musicista. Papà, militare, era figlio di un piccolo industriale e di una casalinga che aveva un gran da fare in casa, con i suoi 9 figli. La svolta la conquistammo con la generazione di papà, mio nonno si era spaccato la schiena lavorando».
Il piccolo Michele leggeva i libri che trovava in casa?
«Papà nascondeva i grandi romanzi italiani, a cominciare da Silvio Pellico, in una stanza chiusa a chiave. Ovviamente feci in modo di procurarmi subito un doppione (per la sua gioia, in fondo mio padre voleva questo) e cominciai a scoprire mondi fantastici: Dostoevskij, Cechov e soprattutto Emilio Salgari, poi sono passato a Giulio Verne. Un giorno nascose, per modo di dire, L'amante di Lady Chatterley, che io ovviamente ho divorato. Forse aveva deciso che ero diventato grande».
Torniamo al grande incontro, al maestro Cataldo…
«La mia scuola a Bari era vicinissima alla sede regionale della Rai, una sede storica, la prima a riprendere le trasmissioni dopo l’8 settembre. Da lì trasmettevano un programma domenicale di varietà a metà tra vernacolo e tradizioni popolari. Si chiamava “La caravella” e un giorno mio padre mi confessò che quella voce era proprio il maestro Mastromauro. Io rimasi di stucco, quasi emozionato da questa scoperta».
Disse al maestro che lo ascoltava alla radio?
«Mai, mi vergognavo. E lui mai lo raccontò a noi alunni, non se ne vantava».
Perché Mastromauro è stata la figura chiave nella sua crescita?
«In due anni, dalla terza alla quinta elementare (poi sono andato dai gesuiti), mi ha fatto scoprire il mestiere che avrei fatto e da quel momento ho coltivato questa ambizione. Anche grazie a mamma e papà, che mi portavano a teatro e a vedere l’Opera».
Come sono proseguiti i suoi studi?
«Ho fatto il ginnasio a Roma, ci trasferivamo spesso a causa del lavoro di mio padre. Poi siamo tornati a Bari dove ho concluso il liceo continuando a leggere come un pazzo e mi sono iscritto a Lettere, dove c’erano degli insegnanti incredibili… Mario Sansone è stato il mio maestro e mi prediligeva. È all’Università che feci la grande scoperta».
Quale?
«Scoprii che esisteva il Cut, il Centro Universitario Teatrale. Mi iscrissi subito e nel giro di sei mesi divenni un leader. In quegli anni fondamentali mi sperimentai».
Eravate apprezzati?
«Eravamo proprio bravi, facevamo un teatro universitario credibile a livello nazionale a metà tra l’amatoriale e il professionale».
Il teatro l’aveva conquistata?
«Il mio amore per il teatro era enorme. Ricordo l’emozione sul palco del Puccini o del Petruzzelli di Bari. Un grande amico, regista di tv e cinema, Piero Pansa, mi insegnò i rudimenti dell’arte scenica. Fu fondamentale, divenni padrone anche del dietro le quinte».
La sua famiglia come prese questa vocazione?
«Lavoravo alla messa in scena di Romeo e Giulietta e un giorno, durante le prove, il mio assistente mi disse: “Michele guarda, c’è tuo padre in platea”. Papà comandava il distretto, a Bari era un’autorità e al direttore del teatro aveva detto: “voglio seguire le prove di mio figlio ma senza farmi vedere da lui”. E così fece. Io finsi di non accorgermene e continuai il mio lavoro. A mezzanotte e mezza tornai a casa e in cucina trovai due biglietti. Il primo era di mio padre, diceva: “io spero che tu sia solo bravo e non pazzo, ma certo a questo punto sei pazzo di gioia”. Il secondo era di mia madre: “le mozzarelle sono in frigo, le calze pulite sul termosifone” (gli occhi di Mirabella si fanno lucidi)
Papà ha potuto assistere ai suoi successi?
«A qualcuno. Se ne è andato giovanissimo a 61 anni».
E il maestro Mastromauro?
«Seppi dai figli che mi seguiva e che si commuoveva ad ogni mio traguardo».
Ha mantenuto i contatti con lui?
«Mi sono sempre ricordato di mandargli gli auguri tramite loro, domandavo spesso di lui».
Lei ha recitato in teatro, in televisione e al cinema, diretto tra gli altri da Luciano Salce, Pupi Avati, Giorgio Capitani, Massimo Troisi e Carlo Verdone.
«E non è stato sempre facile. In teatro guadagnavo settemila e cinquecento lire al giorno, le tournée erano fantastiche ma lunghe e stancanti».
Dal 1996 conduce Elisir, la più longeva trasmissione di salute e medicina della tv. Eppure continua a dichiararsi “un regista, anzi: un attore”.
«Il teatro mi manca. Lo scorso marzo, al Massimo Bellini di Catania, un gran bel teatro gestito magnificamente, ho diretto “Le nozze di Figaro” ed è stato un successo con 11 mila spettatori anziché i 7 mila previsti».
Nella sua Puglia torna a fare teatro?
«La Puglia, che è rimasta nel mio cuore, è amministrata da una classe dirigente insensibile che non si è spesa, non ha combattuto per avere un teatro nazionale. I giovani talentuosi sono costretti ad andarsene se vogliono combinare qualcosa. Un peccato, no? I talenti locali andrebbero sostenuti, prodotti».
Veniamo ad oggi. Da due anni porta in scena “Curriculum”, uno spettacolo da lei scritto, diretto e interpretato.
«L’idea nacque per caso durante un’intervista ad Ovada, in Piemonte. L’intervistatrice, donna intelligente, mi chiedeva di raccontare la mia vita e la chiacchierata prese una piega divertente. Così ho pensato di scriverci su uno spettacolo, accompagnato dalle suggestioni di due musicisti. Parla di me, la gente ride moltissimo».
Dopo il buon Cataldo ha avuto altri maestri?
«Il grande Eduardo De Filippo e Vittorio Gassman. Come non andarne fiero?» ,