Donne straordinarie e una saga familiare tra l'Unità d'Italia e il Fascismo: perché leggere la Casa dell'Uva Fragola
Il romanzo di Pier Vittorio Buffa racconta il piccolo borgo di Cabiaglio e attraverso il punto di vista femminile si muove nell’incontro tra piccola e grande Storia. “Questa storia inizia nel maggio del 1918, ma non ha un inizio preciso e neppure una vera fine...”
Se Pier Vittorio Buffa non fosse scrittore e giornalista saldamente ancorato alla realtà e alla storia, verrebbe da credere che la Cabiaglio che racconta nel suo ultimo romanzo sia un micromondo inventato, nata per magia dal seme racchiuso in un acino della pianta di uva fragola che da più di cento anni cresce rigogliosa di frutti e storie in quel borgo.
Cabiaglio invece esiste, è un piccolo comune in provincia di Varese, dove Buffa ha ambientato il suo “La casa dell’uva fragola” (Piemme, 18,90 euro), una saga familiare dall’Unità d’Italia al Fascismo, che si muove nell’armonia del respiro diaframmatico tra piccola e grande Storia.
Un racconto documentale, dove la lingua chiara e asciutta di Buffa si mette al servizio di un lavoro di interrogazione delle fonti e della memoria personale.
La casa è la seconda residenza di famiglia e qui, nel corso degli anni, lo scrittore ha accumulato storie, aneddoti. Racconti quasi di fiaba, ricostruiti poi con i registri parrocchiali e le memorie dei discendenti. Ed elegantemente intramati con elementi di finzione.
Un racconto matriarcale, dove le figure di Ernesta, Francesca, Ezechiella, Pia e Cencia risaltano, dando forma a una narrazione dove il punto di vista femminile prevale. La casa è donna, femmina è l’uva fragola. Lo è la tenacia che scorre nelle vene della famiglia. Ed è donna, infine, Paola, moglie dello scrittore, che con un affettuoso omaggio viene ringraziata come la gemma da cui è germogliata l’opera.
La scrittura di Buffa si muove come uno di quei meccanismi compositi, formati da ruote dentate, pistoni ed elementi mobili. Si resta incantati, mentre ci si muove senza smarrirsi, portati su e giù tra vicende che in alcune parti abbracciano tre generazioni.
Tutto si tiene, rivelando, ad esempio, come la fermezza d’animo della matriarca Ernesta, vissuta negli anni della Seconda Guerra d’indipendenza, abbia prodotto i suoi effetti sul carattere del bisnipote, volontario nella Grande Guerra. Suggerendo, senza mai imporre artificiose relazioni di causa-effetto.
La pulsione civile dei personaggi è una costante che si tramanda, incarnandosi in forme diverse a seconda delle urgenze che il momento storico impone. E così prevale l’affresco sul dettaglio, cosa che potrebbe risultare spiazzante per lettori abituati alle indagini al microscopio dei personaggi, che caratterizzano molte narrazioni contemporanea.
Questa scelta “inattuale” è un’occasione per mostrare la possibilità di punti di vista più larghi sulle cose umane, che tengono insieme i nessi complessi tra le cose e siano attenti alla lunga durata nelle vicende storiche. Come il patriottismo dei protagonisti, che pur saldo negli anni non rimane immutabile e acritico.
Ne è prova la confessione sulla guerra che Ernesto, impetuoso volontario, fa alla sorella: «Io sono e mi sento un patriota, ma odio la burocrazia militare e penso che i generali stiano sbagliando tutto». I suoi turbamenti sulle decimazioni al fronte sono quelli di un’intera generazione di combattenti.
Andate in libreria, fatevi conquistare dal bell’incipit ed entrate in questa storia che potrebbe non avere un inizio o una fine, e scorrere a volte placida, a volte impetuosa, come un fiume dai tanti affluentil
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