Nel deserto di Atacama in Cile la discarica dei capi fast fashion
C’è un posto sulla Terra dove vanno a morire i vestiti. In realtà, più che di un cimitero, si tratta di un’enorme discarica abusiva. È in Cile, nel deserto di Atacama. Qui ogni anno arrivano da tutto il mondo circa quarantamila tonnellate di capi d’abbigliamento. Sono Made in Bangladesh o in Cina. Dopo essere stati acquistati o essere rimasti appesi, invenduti, nei negozi low cost tra Europa e America viaggiano verso il porto di Iquique, nel nord del Cile, e la parte più grande finisce nel deserto.
Questi oggetti non possono essere smaltiti nelle discariche perché sono rifiuti non biodegradabili e contengono sostanze tossiche. La fast fashion ha un prezzo ed è l’ambiente a pagarlo. Il deserto di Atacama è un’attrazione turistica che si estende dal Cile al Peru per 100mila chilometri quadrati e una parte, piccola ma significativa, è occupata da questa discarica abusiva. Nessuno pare interessarsi, né voler risolvere il problema. Patricio Ferreira, sindaco di Alto Hospico, ha dichiarato che i vestiti che si vedono sono solo una minima parte. Molti avrebbero preso fuoco “accidentalmente” e altri sarebbero sepolti, una pratica illegale e inquinante.
A questo punto ci si interroga se la fast fashion possa convivere con un mondo sostenibile, basti pensare che parecchi dei rifiuti tessili in questione impiegano anche 200 anni per decomporsi. Il problema dell’accumulo dei vestiti nel deserto di Atacama è un fenomeno recente, conseguenza del boom della fast fashion. Un dato su cui riflettere indica che nel 2014 sono stati prodotti nel mondo circa 100 miliardi di indumenti, vale a dire 14 per ogni individuo sulla Terra. Questo tipo di prodotto, però, sembra non interessare la fascia dei consumatori tra i 21 e i 34 anni, la metà avrebbe abbandonato i marchi fast fashion a favore di brand più sostenibili. Per loro consumi e consapevolezza sembrano aver preso una strada diversa, più green.