Il Tirreno

il discorso del 26 giugno 1963 

Kennedy e la frase «Io sono un berlinese» aprono la prima breccia nel Muro sovietico

Paola Taddeucci
Kennedy e la frase «Io sono un berlinese» aprono la prima breccia nel Muro sovietico

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Paola Taddeucci

«Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino. E per questo, in quanto uomo libero, sono fiero di dire: Ich bin ein Berliner (io sono un berlinese)». È la conclusione di uno dei discorsi più celebri della storia. Quello che John Fitzgerald Kennedy, presidente degli Stati Uniti, pronunciò il 26 giugno 1963 dal balcone del municipio di Berlino Ovest.

Il Muro era in piedi dal 1961, eretto come barriera contro gli spostamenti in una città divisa tra i due blocchi – ad Est quello comunista, controllato dall’Unione Sovietica e ad Ovest quello occidentale, sotto l’influenza di americani, francesi e inglesi – all’interno di uno Stato, la Ddr (Germania Est), in mano ai sovietici.

Kennedy arrivò a Berlino due anni dopo la disfatta della Baia dei Porci, il fallito tentativo di rovesciare il regime di Fidel Castro a Cuba. C’era bisogno di un atto che ridesse forza alla politica e quella fu una grande occasione. Esaltare lo spirito cittadino di Berlino Ovest e ribadire il totale supporto degli Stati Uniti, condannare la costruzione del Muro e le scelte comuniste sovietiche furono gli elementi fondamentali del discorso. Che, ancora oggi, rimane uno degli interventi più importanti e influenti della storia.

L’idea di pronunciare l’ultima frase in tedesco ( “Ich bin ein Berliner”) nacque all’ultimo momento, mentre Kennedy saliva le scale del palazzo municipale. Chiese al suo traduttore le parole esatte per “I am a Berliner” e si esercitò ripetutamente nell’ufficio del sindaco Willy Brandt, che della Germania Ovest divenne poi cancelliere dal 1969 al 1974, e nel 1971 fu insignito del Premio Nobel per la Pace per la sua politica di conciliazione, libertà e giustizia sociale. Tutto quello che c’era anche nel discorso di Kennedy, al termine del quale la folla rispose con un’ovazione, piena di gioia. «Quel “Ich bin ein Berliner” pronunciato in tedesco con l’accento di Boston – scrisse Il Sole 24 al riguardo – entrò nel cuore e nella coscienza della gente. Jfk, con quelle parole, garantiva alla città del Muro che non era sola, sulla frontiera più avanzata della Guerra Fredda, a fronteggiare l’Orso sovietico. Jfk creò una breccia nel Muro». Anche il presidente era felice e commosso, conscio di aver colpito nel segno con un forte e appassionato messaggio di solidarietà, impegno e sfida. «Non vivremo mai più un giorno così» disse a Ted Sorensen, il suo fidato “ghost writer”, poco dopo aver concluso. Parole profetiche: cinque mesi dopo, il 22 novembre a Dallas, fu assassinato.

Il Muro che divideva Berlino era stato inizialmente chiamato “barriera protettiva antifascista”, eretta dall’agosto 1961 ufficialmente – secondo le autorità della Germania Est – per impedire che agenti e spie della Germania Ovest, da loro considerato uno Stato fascista, s’infiltrassero nella parte Est. In realtà tutti sapevano come lo scopo principale della “barriera” fosse di impedire ai cittadini di scappare verso Ovest. Scopo che fu universalmente chiaro quando – nel giro di pochi mesi – il filo spinato che divideva la città venne sostituito da un muro di cemento e molte costruzioni furono demolite per creare una “zona della morte” vigilata a vista dalle guardie della Germania Est armate di mitragliatrici. Nei 28 anni in cui il Muro rimase in piedi – fu abbattuto nel 1989 – vennero uccise almeno 200 persone in quella “zona della morte” e sugli altri confini ne morirono altri 500 nel tentativo di fuggire.

L’Occidente, compresi gli Stati Uniti, fu accusato di non aver risposto con forza alla costruzione del Muro. La risposta la dette Kennedy con il suo discorso di sfida all’Urss, che aprì appunto una prima breccia nel Muro. Ci sono voluti ventisei anni perché venisse abbattuto: successe il 9 novembre 1989, uno degli eventi più importanti del ventesimo secolo. La caduta del Muro pose fine alla divisione del mondo tra Est e Ovest – la riunificazione tedesca è del 1990 – e fece capire che ormai i regimi comunisti dell’Europa orientale avevano i giorni contati.

Berlino non ha mai dimenticato Jfk. Tre istituzioni scolastiche sono intitolate a lui: la scuola americana, l’istituto per gli studi sul Nord America e la Freie Universitat. E la piazza dove tenne il discorso, dopo l’assassinio, fu ribattezzata in suo onore. Poco distante da lì, il 29 agosto 2020 suo nipote Robert Francis Kennedy Jr – 67 anni, figlio del fratello Bobby ucciso nel 1968 e convinto militante no vax – si è lanciato in un audace parallelo con il famoso discorso di quasi sessant’anni prima. «Mio zio John venne a parlare in questa città – ha detto davanti ad una folla senza mascherine né distanziamento – perché era l’ultima frontiera contro il totalitarismo globale. E ancora oggi voi siete la frontiera contro il totalitarismo». Quello cui si riferiva Kennedy Jr è il totalitarismo sanitario, voluto dai governi e dalle multinazionali farmaceutiche – a suo dire – per imporre restrizioni in seguito a una pandemia pianificata da tempo. Parte della sua famiglia ha preso pubblicamente le distanze da queste posizioni, accusandolo di pericolosa disinformazione. Dello stesso avviso il social network Instagram che a febbraio 2020 ha bloccato il suo account. —

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