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Prato, dilaga il sistema delle aziende "chiudi e apri": come funziona il trucco per fregare i lavoratori
I lavoratori hanno manifestato davanti a un’azienda del Macrolotto
PRATO. Un centinaio di manifestanti in un piazzale vuoto, quello della Linea Glamour di via Aldo Moro, nel Macrolotto 2. Sono le 16 di una domenica soleggiata, e la zona industriale è percorsa da poche auto, quasi tutte occupate da cinesi che occhieggiano e tirano dritto. Il sindacato Sudd Cobas ha scelto questa azienda come simbolo della lotta contro il sistema “apri e chiudi” o come dicono i manifestanti “chiudi e apri”, che in realtà è più preciso perché qui si tratta di aziende che decidono di chiudere o spostare l’attività da un giorno all’altro quando capiscono che i propri dipendenti sono decisi a reclamare il rispetto del contratto di lavoro, quei fortunati che un contratto ce l’hanno, e riaprire da un’altra parte per ricominciare da capo con lo sfruttamento.
Il caso della Tessitura Sofia
Ai lavoratori pachistani della Tessitura Sofia di Montemurlo è capitato proprio questo. Lo scorso 28 ottobre si sono presentati ai cancelli della fabbrica e l’hanno trovata chiusa. Non solo. Oltre alla merce erano spariti anche i macchinari, raccontano. Gli stessi lavoratori hanno indicato al sindacato dove poteva essere spostata la produzione, cioè alla Linea Glamour di Prato, che sarebbe collegata alla proprietà della Tessitura Sofia e dove ogni tanto i lavoratori della ditta di Montemurlo venivano mandati a lavorare.
Ecco perché il Sudd Cobas ha deciso di manifestare proprio qui, per riportare l’attenzione sul fenomeno “apri e chiudi”, conosciuto da tempo nel distretto tessile, ma che evidentemente i controlli non riescono a debellare.
Una “passeggiata rumorosa” vigilata da polizia, carabinieri e vigili urbani è partita dalla Welltex di via Galvani (anche qui c’è una vertenza aperta) e si è conclusa un chilometro più in là, davanti alla Linea Glamour.
Ciclo di vita di pochi anni, contratti farlocchi e chiusure repentine
Sul banco degli imputati ci sono gli imprenditori cinesi. Sono loro, almeno quelli con pochi scrupoli, che da sempre utilizzano il sistema “apri e chiudi”, aziende che hanno un ciclo di vita di due o tre anni. Questo serve a due scopi: in certi casi, come ha confermato proprio venerdì il risultato di un’indagine della guardia di finanza, per eludere il fisco accollando il pagamento delle tasse a società che nascono e muoiono prima che arrivino i controlli; in altri casi per disinnescare le richieste dei dipendenti, quelli assunti con falsi contratti part time che in realtà lavorano 12 ore per sette giorni alla settimana, e quelli che un contratto nemmeno ce l’hanno. Chiudere e ripartire è il motto di molti di questi imprenditori, e finora ha funzionato.
Oltre al caso della Tessitura Sofia, ce ne sono altri due sui quali il Sudd Cobas ha acceso i riflettori. Intanto ieri alla fine della manifestazione gli operai hanno montato un picchetto nel piazzale della Linea Glamour e promettono di stazionare davanti all’azienda fino a quando questa non riconoscerà i diritti dei dipendenti della Tessitura Sofia.
Ma dal fronte sindacale arrivano anche buone notizie. Venerdì è stato firmato un accordo per la regolarizzazione degli operai della Arte93, che da oggi potranno rientrare in azienda con la garanzia di fare turni di otto ore, cinque giorni alla settimana. Un’utopia ancora per molti, una realtà per chi ha deciso di rischiare e lottare.