Il Tirreno

Prato

L’evento

Prato, il lungo addio dei Cccp, dalla trasgressione a Fellini

di Lorenzo Mei

	Il concerto dei Cccp in piazza Duomo
Il concerto dei Cccp in piazza Duomo

La penultima tappa del tour di Ferretti & C. ha riunito in piazza Duomo almeno due generazioni

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PRATO. Un concerto dei Cccp, quasi trentacinque anni dopo il loro scioglimento, è qualcosa con cui in tanti pensavano di non dover fare i conti. Quell’esperienza musicale era finita nel 1990, in contemporanea con il tramonto del mondo est europeo a cui si richiamava, con tutti i suoi simboli, i suoi rituali, la sua rigida ortodossia e i suoi slogan politici. Entrambe quelle storie erano diventate C.S.I., dove da una parte stava una comunità di stati, dall’altra un consorzio di suonatori, entrambi indipendenti. Quando nel 2023 venne annunciata la mostra di Reggio Emilia, che riportava alla luce i reperti di quell’epopea cominciata all’inizio degli anni Ottanta, sembrava improbabile un concerto celebrativo finale, tantomeno un tour in giro per l’Italia. Con il passare del tempo, invece, fu organizzato un live a Berlino, che poi diventarono tre, e alla fine fu messo in ponte anche il tour, seppur contenuto. Così la penultima tappa di questo viaggio ri-celebrativo è stata Piazza Duomo a Prato, ieri sera, 27 agosto.

Perché ci siamo andati? Difficile dare una risposta buona per tutti. Guardando la gente che popolava la piazza, sostanzialmente piena, con diversi vuoti sulle tribune (ma non era un concerto da poltroncina, ovviamente), c’erano tipologie di partecipanti molto diverse tra loro. Davanti al banchino del merchandising c’era una fila molto lunga. Vendeva soprattutto magliette: qualcuna con citazioni dai pezzi di Giovanni Lindo Ferretti, tipo “Produci, consuma crepa” (che è un po’ singolare appesa a uno stand del merchandising, ma alla fine funziona così e c’è poco da sbalordirsi), altre con il marchio Cccp e i simboli di quegli anni, cominciando dal rosso vivo per arrivare alla falce e martello. L’avevano addosso in tanti, qualcuno certamente avrà mantenuto salde le idee nel corso dei decenni, altri hanno chiuso un cerchio, altri ancora avevano semplicemente una passione musicale con cui volevano vestirsi, anche in senso letterale, per una sera. C’erano persone, vicino al palco, in completo con tanto di gilet, eppure recitavano a raffica i testi mitragliati da Ferretti, quelli più strettamente legati alla simbologia e alle parole d'ordine del marxismo.

C'è un peccato di incoerenza in questo? L’impressione è che non ci fosse, non più di tanto. Del resto lo stesso Ferretti è lontanissimo oggi da quelle posizioni politiche, e allo stesso tempo non sembra uno che va sul palco per mentire. Per tutti, per lui come per la maggior parte del pubblico, si trattava di rivisitare una stagione, di rappresentare alcuni valori che restano solidi al di là del posizionamento (almeno in parte, diciamo), in un contesto artistico come quello dei CCCP, che accanto alla forgia dell’acciaio e al braccio che muove il telaio ha comunque sempre messo una componente religiosa e una molto forte di appartenenza territoriale alla pianura Padana e alle montagne che la circondano. Parlando del concerto, generoso anche per quantità, bisogna dire che Giovanni Ferretti riesce ancora a cantare in modo credibile le canzoni dei Cccp, all'inizio trovandosi più a suo agio nel registro basso, per esempio nella "Depressione Caspica" che ha aperto il concerto, per poi scaldare le corde vocali anche con i pezzi più incalzanti. Massimo Zamboni, con tanto di berretto di ordinanza, è naturalmente la spina dorsale del gruppo (ed è quello che ha ricevuto più applausi al momento della presentazione, forse perché il pubblico sa che questa riunione è in buona parte farina del suo sacco), non solo per la chitarra punk che disegna il terreno di gioco, ma anche per tutti i richiami a tradizioni varie, da quelle del medio oriente ("Punk Islam") a quelle dell'oriente più remoto ("Morire"), fino al sapore delle balere padane ("Oh, battagliero", "Valium Tavor Serenase"). A parte il resto dei musicisti reclutati per l'occasione (validi) il fronte del palco era spesso appannaggio di Danilo Fatur, artista del popolo, e Annarella Giudici, soubrette benemerita. In entrambi i casi le performance che a metà anni Ottanta ci sembravano trasgressive, oggi appaiono felliniane, e forse lo sono sempre state, almeno in parte. Nel finale, quando è partito il riff di "Io sto bene" un uomo sui cinquant'anni ha lasciato gli amici sul lato della piazza annunciando "Questa è la mia", e si è buttato in mezzo, probabilmente per un ultimo pogo celebrativo (niente di particolarmente contundente, almeno visto da qualche decina di metri di distanza). In tribuna c'era un altro fan con accanto il figlio meno che adolescente, che saltellava sulla seggiolina e batteva il ritmo (il padre). Musicalmente ci sono stati momenti molto intensi ("Punk Islam", "Emilia paranoica", "Curami", "Io sto bene", solo per citarne qualcuno) ed altri un po' meno brillanti, ma i concerti sono così, e l'imperfezione fa parte del concetto stesso di "dal vivo". Quando siamo arrivati al finale, prima con "Annarella" e poi con la collettiva "Amandoti", la voce di Ferretti cominciava a mostrare un po' di stanchezza, che non sciupava nulla e che avrebbe potuto evitare se avesse voluto, cantando per un'ora e non per due. Invece si è fatto aiutare dal pubblico per l'ultima canzone, la più melodica e la meno marxista di tutte, per poi lasciarsi andare a un sorriso felice, mentre Zamboni salutava, Annarella ringraziava tutti, dai leader alle maestranze, e Fatur saltellava divertito, ammiccando alle prime file.

Sono concerti, questi, che spesso lasciano a metà strada tra la soddisfazione di esserci, il vago disagio di sentirsi fuori tempo o fuori luogo, e la constatazione che alla fine la musica cancella gli imbarazzi, se ci sono. E poi, comunque, non sentirsi nel posto giusto al momento giusto è un po' la storia dei Cccp, che glorificavano (alla loro maniera) un mondo mentre si stava sgretolando. E quindi, parafrasando Ferretti, "Io sto bene, io sto male, io non so dove stare" è un po' il destino di noi reduci che eravamo in piazza Duomo, a Prato, ieri sera.

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