Prato, i giorni della Liberazione: tra morti, distruzione e speranza. Il racconto
Il Cnl intende anticipare l’arrivo degli alleati, ai faggi di Javello c’è la brigata Buricchi. In via Zarini ci sono già gli angloamericani. A Vainella ci sono ancora i tedeschi...
La pianura a sud e a ovest, la montagna a nord, il fiume a est che lambisce il centro: in quel settembre del 1944 la geografia detta le condizioni alla storia. La città di Prato è spossata e lacera, conta 228 civili e 7 militari morti, 493 feriti, 296 aziende distrutte, 697 danneggiate, 10.000 abitanti senza più la casa. Il regime fascista, ripropostosi come RSI, è in liquidazione: la Guardia Nazionale Repubblicana è dissolta, gli uffici pubblici abbandonati, resta solo il Commissario prefettizio. Il tormento si accompagna alla tensione per gli eventi in corso.
Nei primi giorni del mese i tedeschi presenti in città si preparano alla ritirata, razziando tutto il possibile e facendo saltare in aria i ponti del Mercatale e della Vittoria. Sono ancora sparsi a Iolo, Galciana, Chiesanuova, Maliseti, La Querce, Figline, ma per loro si tratta di guardare il giro delle lancette, con gli Sherman in procinto di comparire.
Il 2 settembre i filippini, gli hawaiani e i nippo-americani della variegata 88^ Divisione “Blue Devil” fanno ingresso a Campi Bisenzio. Il 3 settembre, sempre a Campi, si incontrano membri del CLN pratese e angloamericani: i primi consegnano mappe del territorio e indicazioni di importanza strategica, i secondi comunicano la data dell’intervento su Prato, fissata per il 7.
Il 4 settembre, poco più in là, Poggio a Caiano è liberata e intanto gli americani sono a Gonfienti. La resistenza pratese, smaniosa, decide per la sua “ora x”.
Il CLN locale, ospitato negli scantinati religiosi di San Niccolò – metafora e presagio delle future dinamiche distrettuali – d’accordo con i dirigenti fiorentini, vuole anticipare gli alleati con due azioni, una dall’interno e una dall’esterno. È già accaduto a Firenze, accadrà a Genova. Ai Faggi di Javello si trova la brigata “Bogardo Buricchi”, che riceve l’ordine di scendere. Il 5 pomeriggio verso le 18, i primi mezzi corazzati angloamericani raggiungono il Romito e via Zarini, fermandosi nelle vicinanze di Porta Santa Trinita. Per i partigiani è il momento di agire, è il momento dell’assunzione di responsabilità. Le formazioni cittadine entrano dalle mura, si concentrano al cinema Borsi, occupano la città sotto il bombardamento dei tedeschi in ritirata verso ovest. Sono ad attenderli i cecchini, che li impegneranno fino a tutto il giorno successivo. La notte del 5 settembre la “Buricchi” scende, ma qualcosa non va, manca la staffetta che li dovrebbe attendere. La formazione decide di proseguire e incontra le mitragliatrici tedesche, appostate e pronte, schierate da Vainella a Figline, come in attesa di quel momento.
Lo scontro a fuoco è impari, da un lato truppe equipaggiate ed esperte, dall’altro giovani poco impratichiti e male armati. Una parte riesce a proseguire verso Prato, altri muoiono, altri decidono di tornare su, rimanendo catturati o uccisi. Nelle prime ore del 6 settembre i prigionieri vengono condotti nel paese di Figline, dove si trova il comando tedesco a villa Nocchi. È una mattina di drammatici chiaroscuri, di raggi di sole e di coltri di buio. Alle 10, una jeep americana in avanscoperta passa Porta Santa Trinita, precedendo di sette ore il resto delle truppe.
Lo fa mentre il CLN ha già fatto le valigie dall’albergo improvvisato ma sicuro, accudito da suor Cecilia Vannucchi, per trasferirsi nel Palazzo comunale, dove si insedia la prima Giunta democratica. Ore vitali per Prato che si lascia alle spalle la guerra e il ventennio, ore mortali per i 29 della “Buricchi”. Nei due anni seguenti i pratesi saranno già ripartiti, con 4.200 telai, 130.000 fusi, 200 aziende, 12.000 addetti. Con un consiglio comunale eletto liberamente da donne e uomini, con un sistema repubblicano scelto alle urne e dotato di una Costituzione che sancisce diritti, doveri, regole e valori. Conseguenza anche di quel 6 settembre che porta con sé, in memoria, gli snodi storici degli scioperi del marzo 1944, di Valibona, Poggio alla Malva e Figline.