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L'impresa

Franco, a 57 anni in bici fino a Capo Nord per aiutare i bimbi malati: «La famiglia è stata la mia benzina»

di Marco Sabia

	Franco Taddei
Franco Taddei

L’operaio sanminiatese Taddei ha raccolto 2.700 euro in favore di Dynamo Camp

07 agosto 2024
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SAN MINIATO. Per raccontare questa storia si possono scegliere due approcci: quello matematico o quello più propriamente introspettivo. Col primo è più semplice, perché i numeri sono numeri: una bici, 7 nazioni attraversate, 16 giorni a pedalare, tappe che toccano i 300 chilometri, 4.210 totali chilometri, 31.400 metri di dislivello (il Tour quest’anno ha toccato quota 52mila) e due compagni di viaggio trovati casualmente per strada. Finiti i numeri – che sono comunque decisamente esplicativi – c’è poi il fattore umano, c’è l’uomo che decide di sfidare se stesso e di raggiungere Capo Nord in Norvegia sulla sua bici Daccordi. Il suo nome è Franco Taddei, ha 57 anni ed è di San Miniato, fa l’operaio conciario ed è diventato famoso per la sua barba a due ruote. In questo suo incredibile viaggio ha completato il NorthCape4000, un’impresa agognata da tanti appassionati di bici in tutto il mondo.

In sella per beneficenza

Ma soprattutto ha potuto apprezzare la bellezza della natura e poi della solidarietà umana, perché quando ti trovi senz’acqua nelle borracce e un uomo decide di farti fare rifornimento quella è la dimostrazione che gli esseri umani non sono per forza lupi per i propri simili, come invece recita una nota espressione latina di Plauto. Tra l’altro Taddei – che non ci tiene a passare da superuomo – si è messo in sella con un secondo fine: quella della beneficenza. Franco ha pedalato da Rovereto (Trentino) verso Capo Nord per completare il NorthCape4000 a sostegno di Dynamo Camp (Limestre, Pistoia), il primo camp di terapia ricreativa in Italia, dedicato a bambini e ragazzi con patologie gravi o croniche e alle loro famiglie. In particolare Taddei ha aderito all’iniziativa “2 milioni di km”, un evento sportivo in programma nel periodo estivo e volto alla raccolta fondi, una sfida non competitiva a cui tutti possono partecipare in sella ad una bici, correndo, camminando, giocando a golf o a tennis o qualunque altra attività sportiva. Ogni chilometro percorso ha una donazione minima di 10 centesimi. E quelle a favore dell’impresa di Taddei sono giunte a quota 2.700 euro e sul sito di Dynamo Camp è ancora possibile donare.

Cosa resta del viaggio

L’operaio-ultraciclista sta tornando in queste ore in Italia (in aereo). E a casa porterà una valigia di insegnamenti, soddisfazioni e scoperte: «Dal punto di vista fisico e tecnico – racconta – devi essere perfetto in ogni dettaglio. E poi devi avere la costanza di non mollare mai, nemmeno quando dopo l’ennesima curva ti trovi davanti un altro rettilineo che sembra non finire mai. È in quel momento che tiri fuori il tuo meglio e attingi alle tue riserve. Io ho avuto la fortuna di incontrare due compagni di viaggio: Michele Calanca di Roma e Walter Cappelli di Milano, con cui sono giunto a Capo Nord e con cui ci siamo sostenuti a vicenda». Perché, come detto, anche se la fatica fa urlare le gambe è la testa che fa la differenza. E anche la scoperta di un mondo che non si conosce, popolato da persone sempre disposte ad aiutare: «Chi ci dava l’acqua quando trovavamo tutto chiuso, chi si adoperava per reperirci un letto e un pasto, chi ci faceva lavare la bici e chi ci lasciava la colazione già pronta nel frigorifero la mattina: ho avuto la conferma dell’indole buona dell’uomo, ho ricevuto tanto e voglio ridare tanto». Senza dimenticare la “desolante bellezza” di certi scenari, come il circolo polare artico. E il contatto con gli animali, tanto che ha un certo punto vedere attraversare una renna non era nemmeno più fonte di stupore: «La bici – racconta – è il mezzo giusto per goderti veramente il contesto che stai attraversando, ti consente di viverlo appieno e di soffermarti sui dettagli che più ti colpiscono. Non è come passare in auto e vedere per un attimo un animale particolare o un edificio insolito». Taddei ha dovuto convivere anche con la lontananza da casa e quando ne parla finisce per commuoversi: «Ho una famiglia speciale, che mi permette di essere quello che sono. Li sentivo ogni sera dopo ore e ore in bici: non era facile ma quella era la benzina mentale per ripartire il giorno dopo. A loro voglio dedicare questo risultato e poi a me, perché mi sono messo in gioco e ce l’ho fatta».
 

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