Il Tirreno

Pontedera

La tragedia sul lavoro

Ucciso dal cavallo al centro ippico, il nipote della vittima: «Morte che si poteva evitare, se lavori tanto il rischio aumenta» – Video

di Stefano Taglione
Ucciso dal cavallo al centro ippico, il nipote della vittima: «Morte che si poteva evitare, se lavori tanto il rischio aumenta» – Video

La rabbia di Lorenzo Vannucci dopo l’incidente in cui ha perso la vita lo zio Maurizio, detto “Minno”, artiere di 57 anni: «Questa fine non la meritava»

15 maggio 2024
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CRESPINA. «La morte di mio zio poteva essere evitata. L’artiere non è un lavoro d’ufficio, se le mansioni sono diverse o se mentre stai svolgendo un compito te ne danno altre in rapida successione e tu devi pensare anche a quelle è chiaro che i rischi aumentano. Zio lavorava sette ore e mezzo, è tanto. In certe situazioni serve più attenzione ai dettagli».

A parlare è Lorenzo Vannucci, 26 anni, il nipote di Maurizio, da tutti soprannominato “Minno”, l’artiere livornese morto ieri mattina al centro ippico “Dioscuri” di Crespina, schiacciato da un cavallo che stava accompagnando all’interno di una giostra. Espertissimo nel suo campo, il cinquantasettenne cresciuto in piazza Magenta, in centro, lavorava lì da oltre 25 anni insieme al fratello gemello Alessandro, il padre di Lorenzo. «Questa fine non la meritava – racconta ancora il nipote – mio zio era una gran brava persona. Anche mio babbo lavorava lì con lui, ma non era fisicamente presente nello stesso posto quando è successa la tragedia. La causa della morte è un’emorragia interna sorta in seguito all’incidente, la magistratura ha disposto l’autopsia e le cause saranno chiarite, così come giù chiara è la dinamica. Maurizio è morto al massimo mezz’ora dopo l’incidente, sul momento sembrava quasi che si potesse riprendere. Purtroppo dopo l’arrivo dell’ambulanza non c’è stato più niente da fare e ci ha salutato, sono tristissimo ed è un’enorme tragedia».


La rabbia

Lorenzo è arrabbiato e deluso soprattutto perché «oggi pomeriggio (ieri per chi legge ndr) – racconta – erano previste le corse all’ippodromo del Visarno, a Firenze, e da Crespina ci sono andati lo stesso nonostante la mattina stessa mio zio fosse morto. Mi sarei aspettato una decisione diversa, sicuramente non questa. Maurizio allenava solo i cavalli al galoppo, purosangue inglesi». Una decisione, quella che sarebbe stata presa a Crespina, che lo ha lasciato spiazzato. Deluso, arrabbiato. «Dalla procura – continua il ventiseienne – ci hanno detto che forse ci restituiranno lo zio fra quattro giorni, per il funerale. Prima devono chiarire con esattezza le cause del decesso».


Il suo ricordo

«Lo zio era una persona solare – continua il nipote – Uno di famiglia. Lui e mio padre da piccoli sono cresciuti senza babbo, erano molto uniti. Anche noi due lo eravamo: ci sentivamo spesso, soprattutto il fine settimana. Posso solo parlare bene di lui e quello che gli è successo, come quello che sto passando io in questo momento, non lo auguro davvero a nessuno. Stiamo soffrendo tantissimo la sua mancanza, era un uomo eccezionale».

Gli amici in lacrime

«Maurizio per me non era un amico, ma un fratello. Abbiamo conosciuto le mogli insieme, viaggiato fino in Brasile e due settimane fa siamo pure andati al mare con le famiglie. Amava il lavoro di artiere, i cavalli li conosceva a memoria. Da giovani, per scherzo, io e gli altri ragazzi gli dicevamo “Se Silvio Berlusconi decide che non ci sono più i cavalli tu muori di fame”. È un dolore incredibile». A parlare, dopo la tragedia di Crespina, è il miglior amico di Maurizio Vannucci, Alessandro Gentini. «Ancora non ci credo – prosegue – sono veramente sconvolto. Ho letto la notizia dell’incidente sul sito del Tirreno, ho cercato di mettermi in contatto con lui chiamandolo al telefono, ma non rispondeva, poi ho sentito la moglie e ho capito». Con lui, Alessandro, da giovane ha trascorso tante vacanze. Quelle più belle. «Siamo andati in Brasile, ma non solo: anche in Romania – prosegue l’amico del cuore – già all’epoca lui lavorava con i cavalli. Era espertissimo, parlavamo spesso delle corse e di tutto ciò che ruota attorno a questi animali. Era la sua vita. Lui era come un fantino che non gareggiava, i cavalli li allenava, montandoli, e capiva subito se uno era buono o meno, era veramente un artiere di grandissima esperienza». Nelle conversazioni spesso Vannucci parlava del suo lavoro. Fin da piccolo, da quando in Borgo dei Cappuccini – dove abita Gentini, mentre il cinquantasettenne è cresciuto in piazza Magenta e da tempo viveva con la moglie Lisa da poco sposata, sul viale Italia – si sono conosciuti. «Molto spesso l’artiere è un mestiere di cui nessuno conosce l’esistenza – continua Vannucci – Io chiaramente lo so perché con lui parlavamo spesso di cavalli. Li conosceva veramente a memoria, sapeva tutto dei centri ippici, visto che con Botti ha iniziato a lavorare insieme al fratello Alessandro fin da quando era giovanissimo». l

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