Il Tirreno

Pisa

I danni del maltempo

Marina di Pisa, distrutto lo chalet-retone di Lillo: «Aiutatemi a ripartire subito»

di Roberta Galli
Marina di Pisa, distrutto lo chalet-retone di Lillo: «Aiutatemi a ripartire subito»

Un’attività storica (dal 1940) sul viale D'Annunzio a cento metri dalla foce

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MARINA DI PISA. «Non chiedo aiuti economici, voglio solo riparare il mio retone in tempi brevi. Voi direte: qual è il problema? Io vi rispondo dicendo che ho paura della burocrazia che conosco molto bene; iter complicati per chi come me opera da molti anni lungo la golena d’Arno. Per questo mi rivolgo a tutti coloro che possono darmi una mano per ripartire con la mia attività quanto prima. Io sono pronto a mettermi al lavoro già da domani, ma mi occorrono i permessi per operare, senza i quali non è possibile fare niente». Umberto Pierotti, 75 anni, pisano doc, conosciuto da tutti come “Lillo”, da un paio di giorni non riesce a darsi pace, mentre sconsolato guarda quello che è rimasto del suo retone lungo la golena d’Arno, sul viale D’Annunzio al civico 260, a un centinaio di metri dalla foce.

La violentissima mareggiata che ha colpito Marina, lasciandosi alle spalle danni ingentissimi, ha picchiato duro anche nell’entroterra e a farne le spese è stato un altro retone storico, quello di “Lillo”. Un punto di riferimento per tantissimi pisani che affittavano lo chalet in ogni stagione per trascorrervi una serata tra amici o magari tutto il giorno a pescare in Arno con il bilancino.

Ma ci sono stati anche sposi che hanno scelto per il loro giorno più bello quel tramonto sull’Arno e giovanissimi che lì hanno voluto spengere le candeline approfittando della magia di quel luogo iconico dove il tempo sembra essersi fermarsi.

Ora quel retone, con alle spalle una lunga storia che risale al 1940, dalla furia degli eventi ne è uscito con le ossa spezzate: hanno ceduto le fondamenta di legno e il corpo principale della struttura, la grande stanza dove che era possibile pranzare o cenare, è collassata su se stessa.

I vetri di porte e finestre sono andati in frantumi, mentre l’acqua dell’Arno ha invaso ogni angolo dentro e fuori il perimetro.

Di quel mondo resta solo la grande rete, che lunghe funi e un moderno sistema di trazione permetteva di andare su e in giù nelle acque dell’Arno per pescare.

«Un vero e proprio disastro – dice Pierotti – al quale, purtroppo, ho assistito senza poter fare niente. Sono rimasto lì impotente mentre il mio retone veniva giù. Gli assi di legno che sostenevano la struttura non hanno retto perché a sprofondare in Arno è stato il muretto di contenimento sul quale quei pali si reggevano. La forza del vento e dell’acqua hanno fatto il resto. E io mi sono ritrovato senza più nulla, con un peso sul cuore, tanti pensieri in testa e la paura, questa volta, di non poter ricominciare».

Per Lillo quello chalet è tutto il suo mondo, la sua casa, il suo rifugio, ma soprattutto il suo lavoro.

«Nella vita ho fatto tanti mestieri – racconta Umberto Pierotti – prima il macellaio presso una catena legata alla grande distribuzione, poi l’autista di autobus e infine mi sono messo a lavorare qui in questo retone, con una licenza che risale al 1987. Ma tra queste mura, ora ridotte a un cumulo di assi di legno bagnate, non c’è solo la mia vita: qui c’è la storia di una costruzione nata per la pesca nel 1940».

«E come i retoni alla foce di Boccadarno, anche loro spazzati via da una furia senza precedenti, penso si debba fare un ragionamento più ampio – conclude – per permettere un recupero celere e senza intoppi di questi approdi, punti di riferimento paesaggistici che da tempo hanno perso il loro significato originario, ma legati da sempre alla storia di Marina».


 

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