La decisione
«Lorenzi va condannato a cinque anni»
Le richieste del pm per l’ex assessore accusato di concussione e violenza sessuale: rapporti in cambio di promesse e aiuti
PISA. Lui era l’assessore. Loro le aspiranti inquiline di case popolari. Lui sosteneva di poterle aiutare. Loro erano in difficoltà economiche e per disperazione a volte hanno messo da parte dignità e pudore.
Nel processo a carico dell’ex assessore del Comune di Cascina, Roberto Lorenzi, 69 anni, per concussione, consumata e tentata, e violenza sessuale, il pubblico ministero Paola Rizzo ha chiesto una condanna a 5 anni di reclusione.
L’udienza è stata aggiornata a luglio per le repliche delle parti e la sentenza.
Alcune contestazioni si sono prescritte, ma il nucleo centrale, quello della concussione, non rischia di venir spazzato via dai tempi lunghi della giustizia. Che, nel caso in rievocato ieri in Tribunale, risalgono come apertura del fascicolo da parte della Procura al 2009.
Lorenzi, ferroviere in pensione, ex amministratore del PdCI, difeso dall’avvocato Antonio Cariello, ieri è stato sentito in aula. Nella sua versione dei fatti non ci sono state costrizioni o avances ricattatorie. Né, a suo dire, poteva avere il potere di assegnare a piacimento gli alloggi popolari dal momento che i passaggi per la graduatoria vengono istruiti dagli uffici seguendo regole e requisiti trasparenti.
Galante verso donne adulte e consenzienti sì, approfittatore dei bisogni altrui no è la linea dell’ex amministratore con la passione per l’esoterismo.
Singolare passione quella del politico conosciuto per girare sempre con un pendolino in tasca o per la consuetudine di essere ricevuti nel suo ufficio con un giro di carte per leggere il futuro. Assessore e veggente. Ma non fino al punto di capire che qualcuno lo aveva denunciato.
Delle sei donne sentite dai carabinieri del nucleo investigativo alla fine solo in due si sono costituite parte civile tutelati dagli avvocati Beatrice Vestri e Giuseppe Carvelli.
Una terza, rappresentata dall’avvocato Luca Poldaretti, ha rinunciato a dibattimento iniziato dopo essere stata ascoltata in udienza.
È il febbraio 2010 quando il sexgate in salsa cascinese, con propaggini sul litorale, divampa e porta alla dimissioni di Lorenzi, motore dell’allora giunta Franceschini con deleghe a casa, cultura, pubblica istruzione e cooperazione internazionale.
Non tutte le donne lo accusano di aver fatto sesso.
Tutte, però, sostengono che ci ha provato. Più di una volta con strusciamenti e richieste esplicite di rapporti orali non solo nell'abitazione di Tirrenia, di proprietà di un suo amico, ma anche in Comune.
«Tante volte mi ha chiesto di fare sesso - raccontò in aula una delle testi di accusa -. Si sbottonava i pantaloni nella sua stanza in Comune. Voleva vedere il mio corpo. Una volta si è strusciato e ha cercato di piegarmi come per prendermi da dietro. Un altro episodio fu nella biblioteca di Cascina dove lo raggiunsi in una stanza trovandolo con le parti intime denudate. Mi chiese un rapporto orale».
Un’altra fece mettere a verbale che «in Comune più volte ho dovuto praticargli sesso orale. Chiudeva la porta principale, si metteva seduto e si abbassava i pantaloni. Ero senza casa, con un figlio e non potevo contare su mio marito. Due volte siamo andati a Tirrenia. La prima eravamo solo io e lui. E facemmo sesso. La seconda volta c'era anche un suo amico. Dopo aver cenato in un ristorante cinese lo abbiamo fatto in tre. Mi regalarono una collana di perle». A luglio la sentenza.
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