Il Tirreno

Le motivazioni della sentenza

Quattro morti in ospedale a Piombino: svelate le cinque prove da ergastolo sull’infermiera Fausta Bonino

di Gabriele Buffoni

	Fausta Bonino è accusata di quattro omicidi
Fausta Bonino è accusata di quattro omicidi

L’avvocato dell’ex infermiera deciso a ricorrere in Cassazione

05 settembre 2024
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PIOMBINO. Cinque pilastri. Il tipo di eparina e il metodo utilizzato per l’iniezione, l’esclusione di altre possibili somministrazioni, la presenza costante di Fausta Bonino in servizio in occasione degli omicidi, l’ipotesi inverosimile di un colpevole estraneo al reparto di terapia intensiva e infine il comportamento (e le dichiarazioni non veritiere) della stessa imputata. Su questi punti fermi si sono basati i giudici della Corte d’assise d’appello di Firenze che lo scorso 29 maggio si sono pronunciati nel processo di appello-bis confermando la condanna all’ergastolo per Fausta Bonino, accusata di aver commesso quattro omicidi all’ospedale di Villamarina nel 2015. Una sentenza contro la quale l’avvocato di Bonino Vinicio Nardo – come ha ribadito anche giovedì 5 settembre, contattato da Il Tirreno – è deciso a presentare ricorso alla Corte di Cassazione.

La medicina mortale

Un solo tipo di eparina (quella frazionata sodica) e un solo metodo di somministrazione (ovvero per endovena in bolo). Senza alcuna possibilità, secondo i giudici, che altre vie di inoculazione del medicinale nei pazienti portassero agli stessi effetti. Sono questi i primi due punti fermi che la Corte fiorentina ha voluto ribadire. Smontando quanto contestato dalla difesa di Bonino nel primo processo d’appello, quando l’allora collegio giudicante valutò le incertezze presenti nelle tesi accusatorie sufficienti a garantire l’assoluzione dell’imputata. La Corte fiorentina ha ritenuto che emorragie così gravi come quelle riscontrate nei quattro casi per cui Bonino è stata condannata non potevano essere provocate se non dall’eparina sodica: con quella calcica «si sarebbero dovute dosare 250mila unità sottocute» (una cosa mai vista «neanche a qualche veterinario che lavora con gli elefanti», sottolinea uno dei periti nei verbali). Non solo. Il metodo usato sarebbe quello della somministrazione endovenosa: l’unica in grado di agire in tempi brevi, dato che la diluizione in soluzioni fisiologiche non sarebbe plausibile con gli effetti riscontrati (o richiederebbe almeno tempi più lunghi) e un’iniezione sottocutanea avrebbe lasciato tracce.

La bugia dell’imputata

Su questo aspetto i giudici evidenziano anche una dichiarazione rilasciata da Bonino durante l’interrogatorio di garanzia. In quella sede (era l’aprile 2016) l’ex infermiera sostenne davanti al gip di Livorno che per preparare una fiala di eparina di quel genere «ci vuole 10 minuti-un quarto d’ora» e «altri 5-10 minuti» per farla in vena a un paziente. Bonino dichiarò questo sostenendo che chiunque sarebbe stato visto da tutto il resto del personale. Secondo i periti tuttavia per una somministrazione endovenosa in bolo servono solo una manciata di secondi a una mano esperta come poteva essere, appunto, quella dell’ex infermiera.

Tutto in terapia intensiva

A confutare la tesi presentata dalla difesa sul fatto che le somministrazioni di eparina potessero essere avvenute in altri reparti (ai quali Bonino non aveva accesso) per la Corte fiorentina è bastato il ragionamento deduttivo già presentato dal giudice di Livorno in primo grado analizzando i quattro omicidi. Se infatti Carletti era stato sottoposto a un intervento chirurgico, Ceccanti e Coppola non erano mai stati in sala operatoria (passando entrambi per la Medicina Generale) mentre Morganti era stata prima ricoverata in Cardiologia. Tutti, però, si trovavano nel reparto di terapia intensiva nelle fasce orarie ritenute plausibili con le somministrazioni letali di eparina.

La «costante Bonino»

Inverosimile per la Corte che ci possano essere più autori per i quattro omicidi. Ma perché l’unico responsabile sarebbe Fausta Bonino? I giudici fiorentini hanno ritenuto fondata la cosiddetta “costante Bonino”, già punto focale dell’accusa nel processo di primo grado. Incrociando i turni del personale ospedaliero – non solo del reparto di rianimazione di Villamarina – in occasione dei quattro episodi emerge come «processualmente certa» la presenza di Fausta Bonino in turno nel reparto. Giudicata infondata inoltre la contestazione sulla “permeabilità” del reparto, emersa nel primo processo di appello quando fu dimostrato che erano presenti altri due accessi a quel settore dell’ospedale attraverso cui sarebbero potuti entrare sia altri dipendenti ospedalieri che, addirittura, persone da fuori la struttura. Secondo i giudici questo fatto non pregiudica il valore della “costante Bonino”. Non solo: per le dimensioni ridotte del reparto nessuno avrebbe potuto entrarvi, transitarvi o sostarvi «senza essere immediatamente intercettato dal personale presente». Una tesi, questa, assunta anche per smontare le contestazioni della difesa di Bonino sulla non rilevanza del criterio del cartellino per determinare le presenze in reparto: per quanto il personale spesso rimanesse oltre l’orario di lavoro, questo non pregiudica il fatto che Bonino fosse comunque sempre presente negli orari di riferimento per i quattro omicidi. Tanto più che questi si sono fermati una volta che l’infermiera ha lasciato il reparto.  

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