Il Tirreno

Archeologia

Il calamaio “graffiato” da Ledeltius Storie di vita dalla domus romana

di Cecilia Cecchi

	Il calamaio "graffiato" (firmato)  da chi lo stava utilizzando, Ledeltius
Il calamaio "graffiato" (firmato)  da chi lo stava utilizzando, Ledeltius

L’indagine sull’Acropoli dell’Università di Siena prosegue fino al 2025

13 luglio 2024
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PIOMBINO. Stavolta, come appena abbandonato e trovato intatto un calamaio in ceramica a vernice nera, “graffiato” (firmato) da chi lo stava utilizzando. All’Acropoli di Populonia “l’incontro” con Ledeltius, schiavo che si era riconquistato la libertà e lavorava per il dominus; forse facendo lo scriba, il segretario oppure il pedagogo, cioè l’insegnante per i figli del padrone di casa. È così che i reperti raccontano nuove storie di vita dalla grande casa della Repubblica romana, forse appartenuta a un politico o un magistrato.

Vicino al calamaio di Ledeltius ancora stili per scrivere e il frammento di ceramica di una bambola. Importanti tessere del puzzle frutto degli scavi ricominciati il 16 giugno scorso, dalle Università di Siena e Oxford, diretti da Stefano Camporeale (Siena) e Niccolò Mugnai (Oxford) .

Nuovi tasselli, stessa scena: nella domus aristocratica, distrutta da un incendio intorno al 50 a.C., resti abbandonati in fretta e furia. Però quest’anno è stato possibile dare il nome a qualcuno che cercava di mettersi in salvo, appunto Ledeltius.

«Con il lavoro di queste ultime settimane, sono stati raggiunti i piani pavimentali interni ai due ambienti oggetto della ricerca – ricorda Stefano Camporeale, direttore di scavo per l’Università di Siena – . Diversamente dalle stanze di rappresentanza, come l’atrio, il tablino e le stanze da pranzo, pavimentate a mosaico o a cocciopesto con inserti di marmi colorati, questi ambienti avevano pavimenti realizzati in terra battuta. Questo dato – spiega Camporeale – rivela la semplicità e la funzionalità proprie dei vani domestici della casa, quelli riservati ai familiari e al personale servile in servizio nell’abitazione, dove erano svolte le attività di tutti i giorni».

«Grazie alle eccezionali condizioni di conservazione di questo contesto, sigillato per il crollo degli ambienti superiori a seguito dell’incendio, quello che si apre alla vista dei visitatori è qualcosa che non si osserva tutti i giorni – interviene Marta Coccoluto, responsabile del parco –: negli strati, decine e decine di oggetti per la cucina e la dispensa, pesi da bilancia, chiodi, lucerne per illuminare le stanze, per lo più integri o ricostruibili perché frammentati solo sotto il peso dei crolli».

«Sarà straordinario – aggiunge Coccoluto – rimettere insieme tutti questi oggetti e poterli restaurare: avremo la possibilità di capire cosa ci fosse in una casa aristocratica della Populonia di età romano-repubblicana e di presentarlo al pubblico, magari proprio in un prossimo futuro al Museo archeologico di Piombino».

Secondo Niccolò Mugnai dell’Università di Oxford: «Inaspettato è anche lo stato di conservazione dei muri interni in terra cruda che suddividevano le stanze – dice – : il fuoco li ha cotti e sono conservati in elevato, come di rado avviene” spiega Niccolò Mugnai dell’Università di Oxford “di norma gli archeologi ne trovano solo labili tracce sul terreno. L’ipotesi che qui dovevano trovarsi la dispensa e la cucina – centinaia i pezzi di tegami pentole o le da fuoco insieme a piatti boccali e utensili in ferro per cucinare – sembrano dunque essere confermate».

Lo scavo, in concessione dal ministero della cultura, chiuderà il prossimo 19 luglio; ancora un appuntamento con lo scavo aperto “Gli archeologi raccontano” giovedì 18 ( ore 18).

«Siamo molto soddisfatti dei risultati di questa seconda campagna di scavo e contiamo per il 2025 di per completare la ricerca nella stanza adiacente, per rivelarne la funzione» sottolinea Stefano Camporeale. 

 

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