Ilaria Russo, la ricercatrice lucchese che rischia di dover lasciare gli Usa: «Vi spiego perché c’entra l’effetto Trump»
Studia i meccanismi dell’insufficienza cardiaca: «Ma ora c’è una pericolosa deriva anti-scientifica»
LUCCA. Dalla città dell’arborato cerchio agli Stati Uniti per svolgere il proprio lavoro di ricercatrice al massimo livello possibile. Ora però anche Oltreoceano inizia a essere sempre più complicato fare ricerca scientifica di base in università e all’orizzonte potrebbe prospettarsi un ritorno imminente in Europa.
La storia è quella di Ilaria Russo, lucchese che dopo il liceo si è trasferita a Milano per la triennale in biotecnologie alla Statale, quindi una specialistica in biologia alla Bicocca e poi l’inizio del dottorato in farmacologia all’Istituto Mario Negri. La sensazione però che all’estero ci fosse maggiore possibilità di fare una ricerca di qualità è presto diventata certezza e così è arrivata la scelta di finire il proprio dottorato fuori dall’Italia.
Individuato il gruppo di lavoro all’Albert Einstein College di New York, Ilaria è riuscita a finanziare il primo anno e mezzo grazie a una borsa di studio. A quel punto ha ottenuto un contratto di lavoro e dopo tre anni si è poi accasata alla Columbia University in un team che studia i meccanismi molecolari che contribuiscono allo sviluppo dell’insufficienza cardiaca. Più di dieci anni di lavoro negli Stati Uniti e a questo punto arriva la consapevolezza che il contesto però è drasticamente cambiato.
I motivi e cosa è cambiato
«Ho scelto di trasferirmi negli Stati Uniti perché qua si investiva molto nella ricerca, quindi per anni sono stati un polo di attrazione di alcuni dei migliori scienziati, contribuendo alla creazione di un contesto internazionale molto stimolante. Negli ultimi mesi invece si è registrata una netta inversione di tendenza. L’insediamento della nuova amministrazione Trump ha portato con sé una pericolosa deriva antiscientifica e la ricerca di base per definizione si finanzia soprattutto con i fondi pubblici». Negli ultimi mesi ci sono stati tagli pesanti dei fondi federali destinati ai programmi scientifici di università come Harvard, Columbia e Cornell. «Al di là di questi provvedimenti mirati, sono stati fatti ulteriori tagli trasversali che vanno a colpire l’intero mondo accademico. La ricerca di base va ad aumentare il sapere complessivo di una determinata materia e di questo ne giovano tutti in tutto il mondo. Questo non è certamente un buon momento».
Ora, quindi, è tempo di pensare a un’eventuale programmazione del futuro. «Mi sto guardando intorno e gli Stati Uniti non sembrano più essere quella terra di opportunità che ho trovato quando mi sono trasferita. Le alternative potrebbero essere nella ricerca applicata nel settore privato o rientrare in Europa dove ci sono comunque dei gruppi di ricerca universitari di alto livello. Come me, però, ci sono tanti altri scienziati potenzialmente in fuga dalle università americane e il mercato nel mio settore si sta progressivamente saturando».
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