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Sanità in Tribunale

Lucca, paziente morta a 32 anni: ospedale condannato a risarcire 300mila euro

di Pietro Barghigiani
Lucca, paziente morta a 32 anni: ospedale condannato a risarcire 300mila euro

Il decesso all’ospedale di Cisanello: accertati errori nella fase di emergenza per affrontare una miocardite

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LUCCA. Le condizioni della paziente erano gravi con un rischio di mortalità molto alto. Ma gli errori messi in fila durante le manovre per tentare di salvarla azzerarono quel barlume di speranza di tenerla in vita.

Aveva 32 anni la donna deceduta nell’aprile 2016 a Cisanello per gli effetti di una miocardite che, secondo il Tribunale di Pisa, avrebbe potuto essere affrontata con un approccio diverso. Dopo l’archiviazione a livello penale di 18 indagati tra medici e infermieri, la famiglia della giovane si è affidata ai legali Simone Valentino e Francesco Atzeni e ha citato in giudizio l’Aoup chiedendo un risarcimento danni che il Tribunale ha riconosciuto con una riduzione del 75 per cento di quanto dovuto agli eredi, genitori fratelli e convivente.

Un calcolo che porta il conto oltre i 300mila euro, considerando le spese legali, anche per la percentuale di colpa medica attribuita al personale che seguì nelle ultime tragiche fasi la paziente. Residente a Pisa e con i genitori di Lucca, la giovane aveva lavorato per anni nell’attività di famiglia in Lucchesia prima di trasferirsi nel comune pisano con il compagno.

Le consulenze hanno evidenziato le criticità emerse durante i momenti di massima urgenza. Le conclusioni medico-legali «consentono di concludere nel senso dell’effettiva sussistenza di una condotta colposa dei medici che hanno avuto in cura la paziente cui il decesso di quest’ultima deve ritenersi causalmente ricollegabile».

Il perito anestesista aggiunge: «La grave sequela di eventi fino all’arresto cardiaco, per importante emorragia nella sede d’incannulazione, è in oggettiva relazione di causa-effetto con il riposizionamento delle cannule in urgenza. Tale urgenza, i Ctu lo ricordano, è stata determinata dalla tardiva decisione di ripristinare l’assistenza circolatoria. Ciò è avvenuto in conseguenza di un comportamento professionale omissivo (per imprudenza/negligenza del personale, e/o per inefficienze/carenze organizzative all’interfaccia dei due diversi reparti, che dovevano a ciò coordinarsi con la massima sollecitudine) e concludendo nel senso che, a cannule rimosse, l’essersi trovati in condizioni di dover ripristinare tardivamente l’assistenza, quindi in estrema urgenza, ha credibilmente comportato peggiori condizioni operative generali, anche per il ripristino degli accessi».

Anche se il quadro clinico della paziente era gravissimo, con una mortalità nella fascia del 70-80 per cento, «le omissioni diagnostiche (mancata esecuzione della Emb) e terapeutiche (trattamento farmacologico empirico) ; la decisione di rimuovere le cannule; l’intempestiva tempistica di ripristino dell’assistenza circolatoria Ecmo, ed infine il mancato invio della paziente presso un centro di livello superiore, ai fini delle valutazioni emergenti di ambito trapiantologico, o per l’eventuale assistenza meccanica intracorporea, hanno compromesso (in misura percentualmente contenuta, ma apprezzabile, per quanto difficilmente quantificabile) la sopravvivenza della paziente a breve termine».

Di qui il risarcimento del danno ridotto nell’importo, ma fondato sulle negligenze accertate dai consulenti del Tribunale sulla «condotta imperita dei sanitari che ha cagionato la morte anticipata della paziente».

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