Scherma, lo sfogo: «Io arbitro donna ostacolata l’Olimpiade è la mia rivincita»
Dagli esordi in pedana come atleta all’infortunio che le ha cambiato la vita. «Il maestro Curletto mi venne a trovare in ospedale e mi dette un libro»
LIVORNO. Una carriera quella di Simona Pierucci, densa di soddisfazioni, con tante stupende pagine ancora da scrivere, in una professione: l’arbitraggio, specialmente a grandissimi livelli in campo schermistico, in cui la parità di genere, ha scarso diritto di cittadinanza. Lei grazie a determinazione, abilità, maestria, grinta e bravura, è riuscita a scalare i gradini nazionali e internazionali e dal 2021 è nelle liste mondiali. Simona tra un mesetto, dal 20-30 luglio, a Milano, arbitrerà ai campionati del mondo. E allungando lo sguardo anche ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Letto così viene subito da pensare che la carriera di Pierucci sia stata tutta rose e fiori. Invece, le cose sono andate diversamente e lei per arrivare lassù, solamente perché era giovane donna, ha dovuto scalare montagne di diffidenza e ingoiare qualche boccone amaro. «Sono la primogenita di una famiglia di schermitori – racconta – mio padre e mio nonno, avevano frequentato lo storico circolo Fides. A differenza dei miei fratelli, Silvia e Giuseppe, sono approdata alla scherma con scarsi risultati, dopo un percorso sportivo da ginnasta».
Il perché di quegli insuccessi? Se c’è un perché?
«Quello sport, dove erano tutti maschi, non mi piaceva, in quell’ambiente, non mi sentivo a mio agio, non avevo neanche amiche. Iniziai a praticare scherma soprattutto per far felice mio padre, ma io felice non lo ero affatto. A 15 anni un brutto incidente al ginocchio sinistro fermò la mia carriera di atleta e tutto sommato fu quasi un sollievo. Tra l’altro i tempi stavano iniziando a cambiare. Al circolo Fides era approdato Mario Curletto, grande persona oltre che grandissimo Maestro».
Che ricordi ha di Curletto?
«Prese in mano le sorti di un vecchio circolo e ridette vita alle pedane di via Allende. Furono anni divertenti con una ventata di aria fresca, ma il mio ginocchio era sempre un problema. Curletto un giorno mi venne a trovare in ospedale dopo l’ennesimo intervento. In mano aveva un libretto azzurro e, mentre me lo consegnava, disse: “Studia! Diventerai un ottimo arbitro”. Io lo guardai perplessa e dissi: “Nella scherma non ci sono arbitri donna”. Lui, mi guardò e rispose: “Vabbè vorrà dire che sarai la prima”. Così iniziai ad arbitrare, quando avevo solo 15 anni e nemmeno li dimostravo tutti. Avevo un aspetto angelico che, però, nascondeva un carattere deciso e intransigente. Nonostante questo nessuno mi prendeva sul serio. In palestra, addirittura, mi prendevano in giro. Io, però, giorno dopo giorno, dentro me fortificavo la convinzione che l’avrei fatta, pur essendo, la mia strada del “dimostrare” solo all’inizio. Mi buttai, così a capofitto nella mischia. Ricordo che in palestra volevo arbitrare tutti ma i “grandi” non mi volevano. A far crescere le mie convinzioni era il Maestro Mario Curletto. Lui mi difendeva sempre, dicendo esplicitamente: “lasciatela fare, può fare bene se vuole”. Parole stupende che io mi ripetevo, come se fossi un mantra! ».
Poi la svolta?
«Nel 1989 arbitrai il mio primo campionato italiano Under 14. Ero l’unica ragazza su 50 arbitri convocati e la più piccola. Ricordo che avevo una paura che quasi non mi faceva respirare. Mi rinchiusi in una corazza d’acciaio e misi via la mia paura. Dovevo farcela. Dovevo resistere».
E in seguito com’è andata?
«Anno, dopo anno, macinavo gare ed esperienza, ero un arbitro attento pignolo e autoritario, ma dentro ero sempre quella bambina impaurita anche se nessuno doveva saperlo. Poi cominciò ad arrivare la consapevolezza di avere diritto a ricevere qualcosa di più importante, ma aimè c’era sempre qualcuno che mi passava avanti. Ho avuto tante volte la sensazione, più o meno palesata, che una giovane donna in un mondo di uomini avrebbe potuto trovare scorciatoie. Ma io le scorciatoie le ho sempre disdegnate a prescindere. E così restavo a casa ed altri partivano».
Come ha reagito a queste presunte o palesi ingiustizie e quale strade ha intrapreso?
«Con atteggiamenti sempre più duri verso un sistema che mi ostacolava, perché ero donna, perché ero ribelle, perché non ero una che accettava compromessi, perché ero autoritaria, intransigente».
Poi cambiò qualcosa?
«Non furono solo difficoltà, negli anni imparai ad amare ciò che facevo in maniera spasmodica, più di qualche collega, tanti divennero amici fraterni e quell’ambiente che all’inizio mi era sembrato così ostile cominciai a sentirlo casa mia. Nel 2000, undici anni dopo il mio primo Gran Premio Giovanissimi o under 14) , fui promossa arbitro internazionale. In molti, in quel momento, pensarono che mi sarei “accontentata” di quel risultato. Tanti, però, si sbagliarono. Nello stesso anno arrivò la mia prima convocazione ai campionati italiani assoluti. E poi gare di Coppa del Mondo, comprese le finali quando gli italiani non tiravano per le medaglie. Nonostante questo quando c’era una convocazione pesante il mio nome veniva escluso. Come se fossi trasparente».
Nel 2008 un altro passo in avanti
«Insieme ad altri otto convocati, arbitrai per la prima volta i campionati europei Under 20. Nel 2010 a Siracusa, fu l’arbitraggio della mia prima finale a squadre, con in palio il titolo italiano assoluto. Nel 2011 a Livorno, sempre durante gli assoluti, ricevetti l’ambito Premio Antonio Siclari. Un premio importante assegnato per la prima volta ad una donna».
Altra svolta importante della sua carriera?
«Nel 2012 il conferimento dell’incarico di delegato regionale della Toscana: la massima carica dopo quella di presidente, nella responsabilità della formazione e della gestione degli arbitri toscani».
Per lei un grande traguardo?
«Non totalmente. Ancora lotte. E ancora più impegno. I denti serrati, i pugni chiusi e ancora tanta voglia di guardare avanti. Nel 2017 a Gorizia la mia prima finale per il titolo italiano individuale femminile. Una finale perfetta. Nel 2018 a Verona i Campionati del Mondo Under 20. Fui l’unico arbitro a fare tre finali nonostante non fossi nelle liste mondialo. Nel 2019 sempre, in Italia, i campionati europei Under 20 a Foggia e le Universiadi di Napoli. Ogni volta ero convocata se la gara era in Italia, ma se il nome da fare era di un solo arbitro italiano per una gara all’estero, il mio nome lo dimenticavano sempre».
Poi un’altra super accelerata alla carriera in parte inattesa vero?
«Proprio così. Nel 2021 pensavo davvero di dover appendere i cartellini al chiodo, magari per un incarico in commissione arbitrale nazionale. E, invece, la svolta, repentina e gratificante, alla quale neanche pensavo più: l’ingresso nelle liste GP al posto di Isacco Scomparin, l’arbitro mestrino dimissionario dopo le Olimpiadi di Tokio. Per me un onore e una grandissima emozione che, ormai, non credevo più di poter provare».
Così è arrivata un dimensione mondiale
«Proprio così. In meno di due stagioni, nonostante le difficoltà legate alla pandemia, sono stata convocata a sette gare di Coppa del Mondo, alle Universiadi e ai mondiali di Wuxi: purtroppo sospesi a causa della pandemia».
Impegni recenti e futuri?
«Tanti. Nel 2022 ho diretto finali di Coppa del Mondo a squadre, o individuali a Belgrado, e Plovdiv. In questo inizio 2023, invece, due finali a squadre, con la medaglia di bronzo in palio, al Cairo e ad Acapulco».
E nel prossimo futuro?
«A Milano, l’arbitraggio ai campionati del mondo di scherma a fine luglio. Quella milanese sarà tra l’altro un’edizione speciale valevole anche come qualificazione ai Giochi Olimpici di Parigi 2024».
Olimpiadi a cui lei dovrebbe essere presente?
«È presto per dirlo ma i presupposti ci sono tutti».