Il Tirreno

Livorno

Corrado Orrico l’ highlander del pallone

di Massimo Braglia
Corrado Orrico l’ highlander del pallone

A 73 anni il nuovo debutto con sconfitta «Ma il mio Gavorrano gioca come voglio io»

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di Massimo Braglia

L’apnea è finita: per lui che la panchina è come l’aria, tre anni e dieci mesi dopo, di nuovo in Abruzzo, è ricominciata la vita. E pazienza se un palo ha impedito di raggiungere il pareggio proprio al 94’. Corrado Orrico, l’higlander del calcio, il globetrotter del pallone: è ripartito dal Gavorrano, ennesima tappa del suo pellegrinaggio calcistico, l'eterno ritorno di un grande della panchina, di un allenatore-filosofo che non può stare lontano dal campo, che vive davvero solo quando può insegnare calcio ai suoi giovanotti. E’ rimasto seduto tutto il tempo (ha le stampelle ancora per una decina di giorni), «Ma ho dei collaboratori validi - racconta - hanno trasmesso al meglio le disposizioni. Peccato per quel palo finale, avremmo meritato di più: abbiamo giocato a calcio». E così all’Aquila, l’ennesimo debutto di un’avventura partita nel 1966 alla Sarzanese e poi proseguita ai quattro angoli d'Italia, da Udine a Alessandria, da Avellino a Empoli, Massese, Prato, Brescia, Siena, Treviso e altre ancora, con i suoi due centri di gravità permanente, Carrarese e Lucchese, le piazze simbolo dei suoi successi più importanti.Iniziò ad allenare che i giocatori portavano i calzoni a zampa d'elefante, impazzavano i Beatles, e alla televisione gli appassionati aspettavano in religioso silenzio che trasmettessero "un tempo di una partita di serie A", in differita alle sette di sera. Adesso i calciatori hanno tutti l'i-phone e sono su facebook e twitter, i campionati - sempre in diretta tv e internet - sono spalmati su almeno tre giorni, le vittorie valgono tre punti.

Ma la magìa del pallone in fondo è proprio questa: che attorno tutto cambia, che la società e il progresso corrono, ma nei suoi concetti-base, quelli cari all'Omone di Volpara, il calcio è sempre uguale a se stesso: e allora, il pallone è meglio se lo teniamo più noi degli altri, pressing e velocità devono essere funzionali a togliere idee e spazi agli avversari. Concetti base che quando a Luni, al campo di allenamento della Carrarese, iniziò ad applicarli sistematicamente costruendo la "gabbia", furono rivoluzionari. Anche Arrigo Sacchi venne ad imparare a Carrara, poi la zona e il pressing l'hanno fatto tutti.

Orrico ebbe la grande occasione, l'Inter di Matthaeus e Zenga nel 91-92, ma non andò. Si era portato i suoi uomini di fiducia, Giancarlo Guerra e Benito Mannoni, due che avrebbe sempre voluto con sé, non fu sufficiente. Non importa, il calcio va avanti, e pazienza se ieri in campo aveva Ropolo e non Klinsmann, o Marco Cacciatori da lui definito il calciatore più forte che ha allenato insieme a Matthaeus.

L'ultima panchina era stata il 21 giugno 2009, 3 anni e dieci mesi fa: era al Prato, che aveva già guidato a metà Anni Ottanta, chiuse con una vittoria a Giulianova per 1-0, nella finale di ritorno dei playoff per la C1; furono però gli abruzzesi, vincenti all’andata con identico punteggio, a salire C1. Poco più di un mese dopo, quando in preparazione vide arrivare Max Vieri, salutò tutti.

Da allora, è stato lungo l’esilio dai campi, per uno che sa di calc. io come pochi e vive di calcio. Opinionista (anche per “Il Tirreno”, sempre pungente e mai banale), ospite in televisione: anche quello è pallone, ma il campo, l’adrenalina che sale prima della partita, i 90 minuti da vivere sono un’altra cosa.

Sempre diversi, e sempre uguali. L’eterno ritorno: ha letto molto, in questi tre anni e dieci mesi, l’Omone. Si è tenuto aggiornato. Ha anche avuto una terribile disgrazia familiare e, confessa, «Per un paio d’anni ho avuto altro a cui pensare; però da un annetto avevo davvero voglia di rientrare. Mi avevano cercato in diversi, ma non mi avevano convinto. E invece di questa società ho apprezzato la voglia e la fiducia, e allora mi sono buttato pur con una situazione di classifica pessima».

Con questa avventura iniziata ieri a L’Aquila, gli anni in panchina (pur con le pause in qualche stagione di inattività) salgono a 47 su 73 (compiuti nel giorno della presentazione a Gavorrano, martedì scorso).

A Gavorrano si è presentato chiedendo di affrontare queste sfide che mancano alla fine del torneo con il sorriso. Un concetto che raramente aveva espresso in passato: «Il punto - spiega l’Omone - è che quando sono arrivato, i giocatori si portavano al collo uno zaino di paura. Gli ho semplicemente detto: l’importante è che voi date tutto in campo, che cercate con tutte le vostre forze di applicare la mia idea e i miei principi di gioco, una volta fatto questo, la vita continua, non dovete sentirvi addosso dei sensi di colpa. Giocate al massimo, ma giocate con il sorriso sulle labbra». La risposta c’è stata, la prima sul piano del gioco è stata discreta. La differenza fra fare l’opinionista e la panchina: «E’ sempre valido quel detto: la critica è facile, l’arte è difficile».

Un allenatore che insegna calcio, famoso per la bilancia a cui sottoponeva i suoi giocatori (la multa per chi sgarrava, di solito, erano bottiglie di champagne). Subito dopo la storica rimonta della stagione 87-88, quando alla Carrarese subentrò a Lido Vieri con la squadra in fondo alla classifica e la trascinò in C1, il giorno dopo la fine del torneo la squadra si ritrovò in un ristorante in centro e si fece fotografare davanti a una montagna di spaghetti: «Finalmente possiamo mangiare liberamente».

Ma è anche attraverso queste leggende, la gabbia, la filosofia, le frasi storiche che, vere o verosimili («L’Inter eliminata dal Boavista? Più facile che crolli il Duomo di Milano», e invece fu eliminato) gli sono state attribuite, Orrico ha alimentato il suo personaggio. Bentornato mister.

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