Offlaga Disco Pax in tour, com’è andata la prima tappa a Livorno: il socialismo (tascabile) resiste
La data “zero” della band emiliana al Cage in sold-out: tra memoria, presente e il bisogno di parole nuove
LIVORNO. Il Socialismo Tascabile degli Offlaga Disco Pax compie 20 (venti!) anni e li festeggia con un tour alla conquista dell’Italia. E tutto parte da un teatrino di Livorno. Se qualcuno non coglie l’analogia con gli esordi del Partito Comunista il 21 gennaio 1921 al teatro Goldoni nella medesima città, ci dispiace, ma probabilmente è sensibile come Giusva Fioravanti. Il gruppo di Reggio Emilia è tornato dopo più di dieci anni dall’ultimo live, tredici dall’ultimo disco. Il loro pubblico li ha aspettati, è invecchiato: i ventenni e i trentenni di inizio secolo hanno scollinato l’età dell’idealismo, ma si sono ritrovati al Cage, un po’ incanutiti e lo hanno riempito.
Già quando esordirono il socialismo non era più in espansione, ora si è miniaturizzato, un destino comune nella società dei chip; nel frattempo sta collassando il clima, la pace frana e i “fascisti escono dalle fottute pareti”. Parole del cantante Max Collini, che a sua volta riecheggia una frase di Alien.
L’unica altra citazione che sentiremo dal palco Collini la ripesca dall’ottobre del 1978 e non ha alcun sapore socialista: «Se sbaglieremo ci corrigerete», come disse l’appena eletto papa Wojtyla alla folla venuto a vederlo affacciarsi al balcone. Alien, il Papa e il socialismo: non vi ho incuriositi abbastanza? Non c’è stato nulla da correggere. Come i fedeli in San Pietro quella notte, il pubblico del Cage venerdì ha solo applaudito e ringraziato una band che si è ripresentata in splendida forma.
L’amore del pubblico
Gli arrangiamenti dei vecchi pezzi sono robusti, qualcuno più fedele agli originali incisi, qualcuno più rimaneggiato. Sono fedeli a sé stessi eppure freschi gli Offlaga versione 2025, con un Collini che negli anni ha imparato a padroneggiare una timbrica e un’espressività più varie al microfono pur restando al fondo un declamatore timido e non del tutto a suo agio con le folle. Usiamo un’immagine logora: sembrava una riunione tra amici che non si vedono da anni. Non si va ai concerti degli Offlaga per cantare i pezzi dalla prima all’ultima strofa, non è gruppo da ritornelli sfiatati e polmoni aperti. Si enfatizzano le parole chiave, i simboli, gli oggetti, l’immaginario straordinario che questa band è riuscita a creare con appena tre album all’attivo. Collini, abbarbicato con due mani al microfono, sa quando ammiccare al pubblico e chiamarlo dopo la pausa all’urlo collettivo: “Kappler”, “Khmer Rossa”, “Ci hanno davvero preso tutto”, “Suo figlio ha la faccia come il culo” e l’immancabile “Grazie Reagan, bombardaci Parma”. Vedere il trasporto con cui un bonario dottorando livornese o una serafica agronoma della Basilicata si lasciano andare alla voglia di farla finita con la città del parmigiano è qualcosa che dà il senso della capacità di creare connessioni insospettabili da parte degli Offlaga.
Il tributo a Enrico Fontanelli
C’è qualcosa di intimo, sacrale, quando Collini annuncia un pezzo per “Enrico”, una breve strumentale in ricordo di Enrico Fontanelli, fondatore del gruppo insieme a lui e Daniele Carretti, scomparso per una malattia nel 2014. Per un attimo sembra di violare uno spazio personale, mentre il pezzo sale nostalgico e Collini passeggia fino a scomparire dietro le quinte, trattenendo le lacrime a stento. Sul palco ci sono la tastiera Casio, il moog Prodigy, il basso Rickenbacker di Fontanelli, in questo ritorno sulla scena che per qualche minuto è una toccante cerimonia di saluto a un artista che manca tantissimo alla scena alternativa italiana. Ora sul palco con i due fondatori c’è Mattia Ferrarini, non un sostituto ma qualcosa di diverso: “Senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile”, ricorda Collini a fine concerto.
«Un pegno da tributare agli avi»
Concediamoci una piccola malignità spoileristica per chi andrà alle prossime tappe: a fine concerto si annuncia un brano che è “un pegno da tributare agli avi”, lasciando sospeso per pochi istanti nell’aria un mistero destinato a sciogliersi subito. Una cover di “Allarme” dei Cccp, altra band tornata sui palchi dopo una storia di altri tormenti. Sta gente qua si rimette insieme solo per i soldi, diranno i cinici. Sarà pure così: il capitalismo e le bollette sono spietati per tutti d’altronde, musicisti non esenti. Eppure della loro musica e delle loro storie si è sentita la mancanza; e che altro è questa se non l’espressione di un desiderio, di una voce che resista all’usurante tempo presente.
La speranza di un nuovo album
Gli Offlaga sono stati forse il penultimo fenomeno pop della musica italiana a mischiare musica e istanze sociali, probabilmente l’ultimo ad avere toccato i cuori non solo di un generico “popolo di sinistra”, ma anche di chi alla militanza ha consacrato più di qualche voto nella cabina elettorale. Una o due generazioni le cui istanze sociali sono state sconfitte ma non sono tramontate e rimangono attuali. Un pubblico di giacobini che ha bisogno di storie e riflessioni per raccontare e sentirsi raccontato. Ieri qualche pugno si è timidamente alzato. Perché tutto non si tramuti in dolceamara nostalgia, o in paralizzanti rimpianti, non rimane che augurarsi che il tour porti a un nuovo disco. A nuove parole. Ce n’è bisogno.