La scomparsa a Milano
De Filicaia (Alp): «I porti hanno bisogno di un ricambio generazionale»
Il presidente analizza l’attuale momento e guarda al futuro, soprattutto in un’ottica di “svecchiamento” degli organici attuali
LIVORNO. I porti italiani vivono un momento di generale transizione, nel quadro di una situazione internazionale ancora tutta da definire, di possibili novità sul piano legislativo e nell’attesa delle nomine della governance nei tanti scali dove i vertici sono in scadenza. Livorno vive pienamente questo clima, nel quale inserisce sue problematiche interne che investono direttamente il mondo del lavoro. Ne abbiamo parlato con Jari De Filicaia, presidente di ALP, la società che fornisce manodopera temporanea alle imprese in ossequio all’articolo 17 della legge di settore.
Che momento è, questo, per ALP dal punto di vista interno e generale?
«La fase non è molto difforme agli ultimi tre anni, viviamo momenti di picco di lavoro e momenti di flessi, tendenzialmente ancora non in espansione sui volumi, bensì registriamo ancora fasi di contrazione dei traffici dal punto di vista interno viviamo una situazione di sufficiente serenità con una buona dose di preoccupazione per gli andamenti generali. La situazione di Alp è sotto controllo, la composizione della compagine societaria ci permette di riuscire a governare le fasi critiche che ci posso essere, abbiamo rassicurato i dipendenti su questo, la proprietà si impegnata con un versamento straordinario a copertura delle mancanze finanziarie. Inoltre, sempre la proprietà è impegnata a salvaguardare gli interessi dell’azienda e i suoi lavoratori».
Cosa prevedete per l’immediato futuro? Sono in programma eventuali assunzioni a fronte di quelle che sono le previsioni di traffico e di vostro utilizzo?
«L’attuale autorizzazione di Alp andrà in scadenza il prossimo 30 giugno e abbiamo aperto un dibattito con la Adsp e il cluster portuale (che in Alp rappresenta la maggioranza della proprietà) per valutare nel prossimo futuro quali possano essere le esigenze effettive per aumentare la presenza dell'articolo 17 a Livorno, con l'obiettivo di renderlo sempre più centrale nell’economia del porto. Dentro questo ragionamento c’è anche la possibilità che nel prossimo futuro ci sia un dimensionamento diverso a quello attuale».
Come vedete l’attuale momento del porto di Livorno?
«Le ultime vicende fanno pensare a un’evoluzione positiva per lo scalo e la città. Abbiamo la presenza dei principali armatori al mondo su varie tipologie di traffico e nell’anno appena trascorso c'è stata una ulteriore crescita di interesse con acquisizioni e nuovi interessi. Ritengo che, se ben governati possano rappresentare un importante prospettiva, poi la prossima realizzazione delle Darsena Europa ridisegnerà il prossimo porto di Livorno e ci permetterà di cogliere opportunità finora sconosciute. È evidente che la fase della transizione dovrà essere gestita bene, per permettere a tutti di arrivare vivi a quel traguardo. Il dibattito è riuscito a suscitare il giusto interesse verso l’asset economico più importante del territorio. Il futuro del porto è inscindibile dal futuro della città e del territorio regionale: l'attrattività che emerge significa che le idee erano giuste e questo fa ben sperare per chi come noi si candida ad un ruolo da protagonista».
Si parla di una possibile, ennesima modifica della Legge che regola il settore. Cosa pensate possano portare per voi le novità di cui si parla anche in ordine al lavoro? Mi riferisco in particolare a possibili passi verso l'autoproduzione.
«Abbiamo visto svariate ipotesi che puntualmente sono naufragate, ritengo che una manutenzione della norma a 30 anni dalla sua uscita ci possa anche stare, ma con dei punti fermi. L’autoproduzione non è una risposta a nessuno se non il tentativo forse di risparmiare qualcosa, ma la competitività non si gioca su questi aspetti. Ritengo che non ci debba essere chiusura verso l’innovazione e probabilmente è anche opportuno essere disposti a mettersi in discussione, il tutto in però in un’ottica di miglioramento. Ritengo però che sia fondamentale aprire un piano di ricambio generazionale: l’età media nei porti è di 50 anni, in una logica di innovazione e digitalizzazione abbiamo la necessità di investire sul personale in modo importante. In virtù di questo stiamo chiedendo un intervento al Governo al fine di riconoscere il nostro lavoro tra quelli usuranti. Inoltre, c'è un aspetto di sostenibilità economica, le imprese articolo 17, nate con l'obiettivo di gestire le fasi di picco di lavoro, ad oggi soffrono più di altre dei mutamenti che sono avvenuti nel mondo dello shipping».
«Sono cresciute le fasi di picco di lavoro come quelle di flesso di lavoro e settimanalmente assistiamo sempre più spesso a giornate dove la richiesta di personale supera di tre quattro volte il numero di addetti in pianta organica e ad altre dove il personale non ha occasioni di lavoro. Tradotto significa che la merce per come arriva non copre i costi dei servizi che vengono richiesti. La possibilità di avere misure strutturali alla garanzia di un servizio che di fatto è unico nel panorama dei porti, rappresenta una necessità oggettiva per poter continuare ad operare con i numeri sufficienti a coprire la fase di picco. Con questi due interventi riusciremmo ad aprire una fase di riflessione riuscendo a garantire efficienza ed efficacia, guardando al miglioramento produttivo e professionale. Ancip, la nostra associazione di riferimento, sta svolgendo al riguardo col direttore Gaudenzio Parenti una funzione di coordinamento e coinvolgimento costante e credo che il legislatore debba riconoscere la funzione fondamentale che svolgiamo. Basta ricordare la fase pandemica, nella quale i lavoratori dei porti hanno contribuito al funzionamento del sistema Paese. Questo ruolo non può essere riconosciuto solo di fronte alle emergenze».