Un cammino lungo 25 anni: Livorno festeggia don Placido
Dalla “chiamata” al campo scuola al coordinamento di quattro chiese. Nel 2004 l’arrivo di Salvatore in città: «Questa ormai è la mia casa»
LIVORNO. Don Placido Bevinetto nell’estate del 1980 si chiamava ancora Salvatore (il suo nome all’anagrafe) , quando all’età di dieci anni, durante un campo scuola organizzato dalla sua parrocchia, sentì la” chiamata” che lo porterà poi a diventare sacerdote.
«Anche se più che chiamata vera e propria fu l’inizio di un “sentire” che mi ha portato poi a fare questa scelta – racconta l’interessato -. Scelsi poi il nome di Placido perché nel seminario c’erano altri tre Salvatore e il nuovo nome lo sentii ispirato al ruolo pastorale che stavo per assumere».
Sono venticinque anni dall’ordinazione sacerdotale di Salvatore “Placido” Bevinetto e nella parrocchia della Madonna è stata celebrata la messa solenne in suo onore .
Nato e cresciuto a Partanna (Trapani) da una famiglia cattolicissima, Salvatore dovette affrontare il cruccio del padre (“Ero l’unico figlio maschio accanto a quattro sorelle” racconta) , che magari avrebbe sognato per lui qualcosa di diverso, ma ben presto accettò la vocazione del figlio.
Il ragazzo godeva del forte sostegno della madre Giovanna e delle sorelle Giuseppa, Rosalba, Maria, Anna e Patrizia.
Don Placido: in tutti questi anni mai avuti momenti di crisi? «Durante il periodo del seminario, nel quale entrai quattordicenne, mi presi un periodo di riflessione che durò un paio di anni. Per poi capire che il percorso della mia vita sarebbe comunque stato quello».
La fine del seminario e il diploma conseguito all’Istituto Magistrale coincise poi con l’esperienza monastica nell’abbazia di Farfa (Rieti) e poi in quella di San Martino delle Scale (vicino Monreale) vissute nella estrema sobrietà, nel raccoglimento e nel silenzio tipica dell’Ordine dei Benedettini di cui decise di far parte. «Pregavamo sette ore al giorno» ricorda il religioso.
Dal 2004 Placido approda a Livorno e precisamente al Santuario della Vergine di Montenero dove opera circa un anno per poi “scendere” al nostro ospedale, raccogliendo l’eredità dei frati che prima garantivano l’assistenza religiosa ai malati e facendo in tempo a salutare le ultime suore del Cottolengo che si apprestavano anch’esse a lasciare i padiglioni.
Immediata la sintonia con la quale riuscì a legare con i dipendenti dell’ospedale stesso i quali si abituarono presto a vedere il sacerdote in visita ai malati, nel tentativo di dare loro conforto.
Placido diventa poi in fretta uno dei motori della diocesi livornese tant’è che il vescovo Monsignor Simone Giusti gli affida, oltre alla chiesa di san Giuseppe (ospedale) , prima il Duomo e poi a seguire le chiese del centro cittadino ovvero quella della Madonna, nell’omonima via, e la parrocchia di San Sebastiano anch’essa nella via del centro che porta il nome della parrocchia stessa.
Quest’ultima realtà è spesso notata dai livornesi per gli abiti “antichi” indossati dai sacerdoti e dalle suore che alla chiesa fanno riferimento. Il perché ce lo spiega lo stesso Placido: «Qui opera una comunità pastorale legata alla tradizione cattolica, di “rito antico e in lingua madre”. Ad esempio a San Sebastiano celebriamo anche la messa in latino. Il nostro credo si può riassumere nelle parole “tradizione e liturgia”».
Dopo venticinque anni di sacerdozio c’è una figura alla quale lei vuol porgere un ringraziamento? «A molte persone ovviamente. Ma se devo fare un nome voglio citare quello di don Gaetano Aiello, parroco di Partanna per ben sessant’anni, che è stato il mio punto di riferimento negli anni della gioventù e dello studio religioso».
E nonostante l’impegno del coordinamento delle quattro chiese il nostro sacerdote funge pure da cappellano per gli operatori della Polizia di Stato.
A festeggiare il traguardo sacerdotale c'è anche la famiglia: «Purtroppo non potrà esserci mio padre scomparso da molti anni ma sono certo che mi vedrà da lassù. Ci sono mia madre, le mie sorelle, in particolare Giuseppa che è quella che ha sempre sostenuto maggiormente la mia vocazione. Lei abita a Bologna, le altre e e la mamma sempre in Sicilia. Ogni tanto ci torno d’estate. Ma sento ormai che la mia casa è qui».