Truffa a Livorno: imputati sette operai di Asa, ma uno di loro viene reintegrato
Per la giudice del lavoro non doveva essere seguito da un investigatore privato. Il procedimento penale, parallelo, inizierà invece a dicembre con l'udienza predibattimentale
LIVORNO. Uno di loro è stato reintegrato dal giudice del lavoro: «Non doveva essere seguito da un investigatore privato», scrive il tribunale. Tutti e sette, invece, sono imputati per truffa e il 9 dicembre, a palazzo di giustizia, si terrà la prima udienza pubblica. Si aprirà fra pochi mesi il dibattimento del processo a carico di sette lavoratori Asa – l’Azienda servizi ambientali, il colosso a maggioranza pubblica che nella nostra provincia gestisce la rete idrica e il servizio gas – accusati di «false attestazioni nell’ordine dei lavori, ma di fatto non svolgendo i servizi e i controlli assegnati ovvero nell’effettuarli in tempi più ristretti rispetto a quelli attestati ed effettuando altresì attività private durante l’orario di lavoro, nonché assentandosi in talune occasioni dal servizio» e di aver alterato gli orari.
Dipendenti infedeli, secondo la società, che li ha licenziati. Sono Riccardo Bendinelli, 58 anni, Sandro Conteddu, 60 e originario di Siniscola (in Sardegna), Enrico Deri (64), Daniele Ghignoli (47), Andrea Gualtieri (60) e Maurizio Rossi, di 52. Per loro, la pm Alessandra Fera, ha disposto la citazione diretta a giudizio. Bendinelli è stato reintegrato dalla giudice del lavoro Federica Manfré, come spiegato dal sindacato Usb: «Annullato il licenziamento – spiegano dall’Unione sindacale di base – ma ci sarà tempo e modo per analizzare nel dettaglio questa sentenza. In attesa di conoscere l'esito anche per gli altri lavoratori».
Il 5 settembre, per un altro dipendente, è prevista un’udienza davanti alla giudice Manfré, mentre altri tre colleghi compariranno più avanti sempre in tribunale. Attese quindi altre quattro pronunce, mentre due lavoratori avrebbero già definito la propria posizione. «Asa – scrive l’azienda – prende atto della decisione del tribunale. Innanzitutto occorre sottolineare che la sentenza ha accolto il ricorso del lavoratore esclusivamente in relazione a un motivo formale relativo alla legittimità dell’utilizzo di strumenti di investigazione al fine dell’accertamento dei fatti contestati e quindi non smentisce in alcun modo che quei fatti si siano effettivamente verificati. Al contrario, quegli stessi fatti, sono oggetto di un procedimento penale per truffa nel quale è imputato fra gli altri il dipendente reintegrato. Riteniamo quindi doveroso valutare l’impugnazione della decisione del tribunale – convinti di avere agito nel rispetto della legge e della interpretazione che della stessa ha dato la Suprema Corte – anche in considerazione della pendenza di un procedimento penale per i medesimi fatti e sulla base degli stessi elementi di prova il cui utilizzo ci è stato negato nel primo grado del procedimento civile. Siamo comunque convinti, qualunque sarà la decisione definitiva sulla questione formale, di avere agito in modo doveroso e corretto, non potendo tollerare condotte contrarie alla legge all’interno della azienda». L’azienda, in relazione al licenziamento dei dipendenti, spiega di aver «ricevuto segnalazioni di episodi di sversamenti fognari e di scarichi inquinanti incompatibili e improbabili in relazione alle attività di controllo della rete e del territorio, nonché di intensa manutenzione preventiva, sulle reti fognarie, pianificata dall’azienda. L’analisi della frequenza e la localizzazione degli episodi, segnalati sia dal Comune sia dalle chiamate pervenute al centralino di pronto intervento, aveva generato il fondato sospetto che vi potessero essere condotte illecite, anche di natura penale, da parte di alcuni dipendenti».