Maltempo
Gibilterra-Capo Nord in bicicletta, la solidarietà di Stefano ha vinto due volte
Undici i paesi toccati e7.440 i chilometri percorsi. Il carabiniere ha battuto i rivali raccogliendo fondi per l'ospedale peditrico Meyer:
LIVORNO. Il cuore di Stefano Pellegrini è grande per due motivi: il primo è puramente cardiologico perché se riesci a pedalare da Capo Nord a Gibilterra vuol dire che il sistema arterioso regge bene. Se poi arrivi primo tra trenta partecipanti al tour ciclistico vuol dire che il cuore è addirittura da Superman.
Il secondo è legato alla bontà d’animo del nostro appuntato dei carabinieri paracadutisti nonché laureato in Scienze Motorie che ha fatto sì di pubblicizzare, durante il viaggio, tramite i canali web una raccolta di fondi a favore dei bambini ricoverati per cure oncologiche all’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze.
«Sono sempre stato appassionato al ciclismo d’avventura – racconta Pellegrini , 38 anni, originario del frusinate e da vent’anni a Livorno in forza al Battaglione Tarquinia – e riuscire poi a contribuire, magari con l’acquisto di una nuova strumentazione scientifica, alle cure per i bimbi del Meyer mi è stato di grande stimolo».
Undici i paesi toccati (Norvegia, Finlandia, Estonia, Lettonia,Lituania,Polonia, Repubblica Ceca,Germania,Austria, Liechtenstein,Svizzera, Italia, Francia, Andorra e Spagna con meta finale la città di Tarifa nell’estremo sud ispanico), 7.440 i chilometri percorsi. Partito il 20 giugno scorso da Capo Nord e arrivato il 28 luglio a Tarifa. «Quindi – aggiunge con precisione da milite – 38 giorni, 14 ore e trenta minuti”.
Difficoltà ?
«Beh non è stata una passeggiata ma io sono allenato anche in virtù del lavoro che faccio. Diciamo che l’unico problema è stato con alcuni cani finlandesi che mi hanno rincorso forse per mordermi (sorride Pellegrini ndr)».
Dove sostava ?
«Dovunque. A volte dormivo nella mia tenda, a volte approfittavo di qualche camera in affitto. Ho trovato nel mio viaggio tante splendide persone che mi hanno aiutato e augurato buon viaggio».
E come ha fatto per il suo lavoro?
«Ho speso tutte le mie ferie in questa avventura».
C’è stato un momento nel quale ha pensato di non farcela ?
«Direi di no, non è contemplato nel mio vocabolario esistenziale. Ho cambiato più volte strategia mentale anche con l’aiuto di un coach che da remoto mi assisteva. Ne avevo necessità per evitare la disidratazione, il cambio del bioritmo e per una curata alimentazione. Il tutto rapportato alla condizione meteorologica del giorno».
Lei non è nuovo a queste imprese e ha pedalato pure nel continente americano ?
«Esatto e laggiù un rischio l’ho corso per davvero».
Ovvero ?
«Sui Monti Appalachi nel Nord dell’America incontrai un orso che mi si parò davanti improvvisamente. Io lo guardai, lui mi guardò e poi se andò per la sua strada. Per fortuna aggiungo».
La raccolta dei fondi è stata soddisfacente ?
«Direi di sì e non potete immaginare la mia soddisfazione nell’aver compiuto questa opera. Sia nel senso sportivo sia per la solidarietà ai bambini del Meyer. Ma si può donare ancora – precisa – cliccando sul sito https// donazioni.fondazionemeyer.it/campagne/pedalando-per-il-sorriso-dei-bambini&orgn=browser».l