Sparatoria a Shangai, l'ex questore Suraci: «Episodi che possono accadere, ma la polizia stia più in strada»
Livorno: «Da anni, purtroppo, si preferiscono le attività tecniche d'ufficio». Poi gli elogi al successore Massucci: «Ottimo collega»
LIVORNO. «Quanto accaduto a Livorno succede anche in realtà più piccole e di sparatorie ce ne sono state anche quando il questore ero io. Se parlo della mia esperienza nelle varie realtà italiane posso dire di aver sempre privilegiato una polizia di strada, meno in ufficio e più sul territorio. Una Squadra mobile in giro a raccogliere le informazioni per conoscere al meglio i pregiudicati, perché poi quando succedono gli episodi spiacevoli come quello di due giorni fa gli agenti sanno dove e da chi andare. Il ruolo degli informatori resta fondamentale e nell’ultimo periodo, non parlo di Livorno ma più in generale, attività tecniche come le intercettazioni sono state preferite allo storico lavoro della vecchia scuola, parlo del poliziotto di quartiere sempre fuori dalla caserma che conosceva tutti. A mio parere bisogna che i due aspetti coesistano: tecnologia e tradizione».
A parlare – contattato dal Tirreno – è l’ex questore Lorenzo Suraci, fino a un anno e mezzo fa capo provinciale della polizia. In pensione, nel frattempo una candidatura con Fratelli d’Italia alle ultime elezioni a Viterbo come consigliere comunale, conosce bene la nostra città e nella sua carriera ha diretto distretti molto delicati, come il “Primo” di Roma dove ci sono i palazzi del potere.
Suraci, ha visto cosa è successo a Livorno domenica?
«Sì, sono fatti incresciosi che però capitano ovunque. A Viterbo, che è un realtà anche più piccola, quando ero questore ci sono stati ben quattro omicidi. Livorno ha un ottimo questore, Roberto Massucci, che sa bene quali sono le soluzioni da adottare. Fra l’altro, a Roma, ha anche avuto una lunga esperienza di gestione dell’ordine pubblico».
Lei ha sempre privilegiato una polizia di strada.
«Bisogna conoscere le persone che popolano il territorio, specie i pregiudicati che quando delinquono vanno colpiti duramente, ma possono anche essere degli informatori. Io, nel limite del mio ruolo, l’ho sempre fatto. Con questo non voglio dire che a Livorno non si faccia così, anche perché è una realtà dove non vivo più. Parlo della mia esperienza, della mia idea di polizia, e non do giudizi su nessuno».
Secondo lei è un’attività, quella della conoscenza del territorio, che si è persa?
«Sì, abbiamo perso il sentore della piazza. Da anni si preferiscono le attività d’ufficio, le intercettazioni ad esempio. Ma non possono bastare».
Spesso c’è anche da dire che le leggi non aiutano. Qualche settimana fa, Il Tirreno, ha scritto di un uomo denunciato per sette furti che per settimane è rimasto libero.
«Esatto, le leggi italiane non ci assistono. Un altro esempio è l’immigrazione incontrollata: chi sbarca in Italia lo fa quasi sempre senza documenti e noi, alla frontiera, non possiamo sapere chi sia veramente. Questo fa la differenza, perché se nel tuo Paese hai gravi precedenti penali io potrei rimandarti indietro. Purtroppo, come poliziotto, devo registrarti, fotosegnalarti e prenderti le impronte con il nominativo che mi dai tu, che potrebbe essere inventato. Quindi faccio entrare in Europa una persona di cui non conosco la storia, mentre in America i nostri antenati andavano con i documenti in mano e tutti sapevano chi fossero realmente».
Poi c’è il problema delle leggi, ad esempio di quelle sullo spaccio.
«Sulla lieve quantità di droga, ormai, non sono previste le misure cautelari. Fra l’altro ogni procura la calcola a mod suo. Il problema è che queste persone spacciano un giorno a Livorno, un altro giorno a Milano e poi noi gli dobbiamo fare le notifiche delle denunce a “babbo morto”, perché non li trovi più. Ma sa qual è un altro problema?
Quale?
«Il 112. Con la centrale unica bisogna ripetere almeno due volte la segnalazione. Ed è incredibile. Io, recentemente, dall’Umbria ho segnalato un’auto sospetta in mezzo alla campagna e m i hanno risposto dalle Marche. Non erano in grado di localizzarmi e non conoscevano nemmeno la statale in cui mi trovavo. Alla fine ho buttato giù il telefono. Quando ci sono le emergenze, dalla sala operativa, devono parlare poco e passarti subito le forze dell’ordine. La politica abbia il coraggio di criticare e non si trinceri dietro il fatto che ce lo ha chiesto l’Europa: io non sono contro Bruxelles, tutt’altro, parlo a ragion veduta per migliorare le cose.