Il Tirreno

Livorno

«Usura ed estorsione», imprenditrice a processo

«Usura ed estorsione», imprenditrice a processo

La donna avrebbe chiesto soldi agli inquilini del suo fondo per ristrutturarlo dopo un incendio minacciandole con una cambiale firmata alla stipula del contratto

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Le accuse nei confronti di Mila Raminghi, 66 anni, imprenditrice livornese, proprietaria e amministratrice di decine di immobili in città, sono pesantissime: usura, estorsione, ricettazione. Ma i suoi legali, gli avvocati Alberto Uccelli e Andrea Di Giuliomaria sono convinti che il processo «fosse l’unico percorso naturale per dimostrare l’infondatezza delle accuse che vengono contestate».

L’inchiesta condotta dal pubblico ministero Luca Masini è partita nel 2010 quando in Procura è stata presentata una denuncia per usura nei confronti della donna. Al centro dell’esposto un fondo che la proprietaria aveva affitto nel 2006 ad un’azienda, la Comriccola snc, in via Enriquez, di cui inizialmente erano titolari due sorelle e che negli anni è invece diventata una ditta individuale.

Ad incrinare definitivamente i rapporti, mai sereni, tra la proprietaria e le affittuarie sarebbero state le conseguenze di un incendio, avvenuto nel luglio del 2009, che comportò la distruzione del fondo e la necessità di rimetterlo in sesto nel minor tempo possibile.

Secondo la ricostruzione del pubblico ministero, corroborata poi dalle memorie depositate dalle presunte vittime, le due sorelle avrebbero richiesto all’assicurazione – con la quale avevano sottoscritto una polizza – il risarcimento del danno. Ma perché i lavori partissero era necessario la liberatoria della proprietaria. «Per mesi si è opposta – hanno raccontato le affittuarie – pretendendo in cambio della firma un risarcimento e l’aumento del canone di locazione». Non è chiaro se la stessa imputata abbia anche chiesto dei lavori edili in cambio del suo ok.

In ogni caso, alla fine per far sì che i lavori iniziassero, le due sorelle avrebbero ceduto alle richieste della proprietaria. È indagando su questo episodio che il pubblico ministero avrebbe scoperto che alla base del rapporto tra la proprietaria e chi usufruiva del capannone ci sarebbe stata un’estorsione.

In pratica nel 2006 quando venne stipulato il contratto di affitto – è l’ipotesi dell’accusa – la titolare avrebbe preteso che le due sorelle firmassero una cambiale da quasi 11mila euro con la quale negli anni successivi avrebbe minacciato le due donne ogni volta che si creava un problema. A questo andrebbe aggiunto, dopo l’incendio, l’auto del canone e la richiesta di altro denaro. (f.l.)

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