Il Tirreno

L’anniversario

Le verità nascoste di Kennedy: 60 anni fa l’attentato al presidente Usa

di Gianfranco D’Anna

	John Fitzgerald Kennedy con la moglie Jacqueline
John Fitzgerald Kennedy con la moglie Jacqueline

Ombre sul mito di Jfk: dagli eccessi sessuali ai legami con la mafia fino agli errori politici, la storia lo ha condannato

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“Trafitto per sempre dallo spillo di Lee Harvey Oswald come una incantevole farfalla amazzonica inchiodata alle pareti di un museo, John Fitzgerald Kennedy vola immobile da mezzo secolo nella fissità luminosa del suo mito”, scriveva alla vigilia del cinquantesimo anniversario dell'assassinio del presidente degli Stati Uniti, l'indimenticabile Vittorio Zucconi. Dieci anni dopo la luminosità del mito di Jfk si è molto affievolita ed è ridotta ad una scintilla. Negli ultimi anni la documentazione storiografica e le testimonianze dirette, che continuano a svelare le molte verità nascoste dei quasi tre anni della presidenza Kennedy, conferiscono al sessantesimo anniversario del tenebroso enigma dei colpi di fucile di Dallas la bruciante amarezza della delusione per la scoperta delle tante miserie umane di un ideale rivelatosi un falso ideale.

Sesso e glamour

Dalla sex addiction quotidianamente manifestata nei confronti di attrici, cantanti, collaboratrici e stagiste della Casa Bianca, alla rischiosissima impreparazione strategica che fece sfiorare all'America e al mondo una guerra nucleare, progressivamente sono emersi svariati lati oscuri che offuscano i ricordi di un affascinante giovane presidente, sempre sorridente, con un taglio di capelli di gran classe, un'espressione seducente ed una oratoria che ancora commuove. Frasi storiche della serie “non chiedete cosa può fare il vostro paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese” ed “Ich bin ein Berliner”, che in realtà erano pensate e messe nero su bianco da ghost writer come Ted Sorensen e da uno dei suoi più stretti collaboratori, Arthur Schlesinger.

Modernità e glamour

John Kennedy e la moglie Jacqueline erano molto più giovani e sfavillanti, rispetto ai predecessori quando entrarono alla Casa Bianca, e portarono un turbinio di modernità nell'atmosfera puritana e compassata della Washington dell'inizio degli anni '60. Un glamour tanto inedito da catalizzare un'attenzione superiore a quella riservata alle stelle di Hollywood, ai cantanti e ai campioni sportivi. Con Jacqueline che inaugura l'epopea delle first lady ed influenza la moda e con le immagini e le foto della coppia presidenziale che spopolano sulle tv e i rotocalchi. Il carisma che i Kennedy irradiavano valsero all'amministrazione l'appellativo postumo di Camelot, in riferimento all'ideale cavalleresco del Regno di Re Artù. Il mosaico della memoria evidenzia ancora come la loro allure consista principalmente nel che cosa sarebbero stati e nel che cosa avrebbero fatto, se Jfk non fosse stato assassinato. Ma dietro le quinte “la vera Trinità di Camelot era sedurre, scopare e godere”, ha scritto James Ellroy nella sua opera più celebre e dissacrante affresco noir dell'American Tabloid. Una narrazione che lascia intuire come Dallas abbia apposto una sorta di sigillo di ceralacca sui retroscena dei “misfatti di Camelot”. Oscuri legami

Da Pamela Turnure a Evelyn Lincoln all'attrice Marilyn Monroe, il lungo elenco delle amanti di Jfk, comprendeva infatti Judith Campbell, fidanzata di uno dei capi di cosa nostra, Sam Giancana, il padrino di Chicago che su richiesta del padre del presidente, Joe Kennedy, il patriarca senza scrupoli della dinasty, si era dato da fare per incanalare sul candidato democratico quelle poche migliaia di voti in più, determinanti per superare il repubblicano Nixon alle elezioni del 1960.

Guai ed errori

Un risultato inaspettato, tanto che in quegli anni circolava la battuta “Venite a Chicago, la città dove potete votare anche da morti”. Chiuso il sepolcro imbiancato della vita privata, aprire il capitolo delle decisioni politiche dell'amministrazione Kennedy è ancora più penoso. Troppi, e di scottante gravità, i problemi che in quei suoi primi mille giorni aveva rinviato o affrontato senza avere alcuna preparazione politico strategica: dal massacro della Baia dei Porci a Cuba, dove gli esuli anticastristi addestrati dall'intelligence americana vennero fatti sbarcare senza copertura aerea, ai primi esordi del coinvolgimento in Vietnam, ai diritti civili negati agli afroamericani, allo scoglio soprattutto dei missili sovietici a Cuba. A salvare il fratello presidente, l'America e il mondo, scongiurando il primo e ultimo conflitto nucleare, fu il giovane neo segretario alla Giustizia Robert Kennedy. Bob tenne a bada i generali del Pentagono, che sfiorarono la sindrome del dottor Stranamore, e attraverso l'ambasciatore russo a Washington, Anatolij Dobrynin trattò direttamente con il segretario generale del Pcus Nikita Krusciov. Il successore di Stalin, che aveva già fatto fare la figura del neofita a John Kennedy al vertice di Vienna del giugno 1961, colse al volo l'occasione per liberarsi dell'incubo di dovere affidare all'incontrollabile Fidel Castro la possibilità di disporre di missili nucleari russi istallati a Cuba e in cambio ottenne lo smantellamento dei missili atomici segretamente piazzati dagli americani in Turchia, nonché l'impegno Usa a non invadere Lavana.

Jfk tirò un sospiro liberatorio e corse in televisione ad annunciare che i russi si erano ritirati. Ignorando le letali inimicizie suscitate negli apparati militari e dell'Intelligence Community di Washington, e anche l'escalation di tensioni sociali della popolazione nera, tensioni a stento mitigate dal pur deluso Martin Luther King, il presidente Kennedy archiviò Cuba, lasciò marcire la situazione vietnamita, e riprese la trafila del dietro le quinte alla Casa Bianca e dei grandi discorsi in giro per il mondo. Storico quello pronunciato di fronte al muro di Berlino, alla Porta di Brandeburgo il 23 Giugno 1963, scritto sempre da Sorensen & Schlesinger. Le ultime città europee visitate dal presidente furono, nel luglio del 1963, Roma e Napoli. «L'Italia, ha scritto Shelley, è il paradiso degli esiliati – dice Kennedy, prima di lasciare l'Italia – in questo mio breve esilio dal clima di Washington ho apprezzato questo paradiso. L’unica scusa per la brevità del mio soggiorno è la certezza del mio ritorno, la prossima volta con mia moglie». Ma come nell'epilogo di una tragedia shakespeariana Kennedy non tornerà più. A Dealey Plaza, a Dallas in Texas il 22 novembre 1963, lo aspettano con un fucile italiano di precisione.

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