Francesco Rutelli: «Barbara, compagna di navigazioni e di ritorni con i piedi sulla terra»
Una vita insieme a Palombelli e il rapporto con il mare: «Quel bacio dopo il comizio». «La mia esistenza legata alle onde del Tirreno»
Incontriamo Francesco Rutelli nel suo ultimo giorno di lavoro a Roma. Il presidente dell’Anica (Associazione nazionale dell’industria del cinema e l’audiovisivo) libera la scrivania, riordina pensieri sparsi e tutti attraversano il mare, chiede alla segretaria di non passargli telefonate, ma non basterà. Per un imprevisto, o una sincronia, chissà, ci interromperemo e l’intervista a Francesco Rutelli proseguirà al telefono, proprio lì dove nascono i racconti: con i piedi immersi nelle acque basse del Tirreno, nel suo primo giorno di vacanza. «Il mare lo guardo ma non lo navigo; ci ha fatto pace anche mia moglie con questa cosa, lei che invece è un’ultra marittima. Oggi sa di avere un marito che resta a riva... Non sono mica pazzo come mio nonno Mario! Un navigatore solitario che tra le onde del Tirreno, su una barca di sette metri, ha trascorso ogni ora libera dal lavoro».
Non le avrà trasmesso la passione per la navigazione, ma le ha lasciato in eredità il mare...
«Sì. Non c’è frammento del Tirreno senza gli amori da ragazzo, le esplorazioni e le storie di famiglia. Una prima fidanzata all’Argentario, un amore finito male alle Rocchette, le gite a Donoratico con un gruppo di amici di scuola. Con la memoria dolente per Andrea che anni dopo si uccise per amore».
Un amico si suicida per amore, cosa le ha insegnato questa perdita?
«Che la vita non è necessariamente basata sulla razionalità. Paradossalmente, l’invidia e l’odio sono prevedibili, ma la perdita di senso, il consegnarsi a un abisso, fanno purtroppo parte dell’esistenza umana».
Con sua moglie, la giornalista Barbara Palombelli, quasi 50 anni di amore e vita insieme. Lungo la costa, gli approdi del cuore?
«Con Barbara, dai miei 25 anni, da Anzio a Sabaudia fino a Cala Grande; da Ponza a Filicudi e Villasimius; dalla Costiera Amalfitana a Viareggio. E poi Capalbio».
Perché il Tirreno è così trasversale nella sua storia sentimentale?
«Penso che non esistano nella vita reale percorsi sentimentali realizzati su un set, magari virtuale, per stare al mio attuale lavoro per il cinema e l’audiovisivo. La vita si realizza solo in luoghi fisici, tra persone reali e in Italia questo significa vivere, non solo attraversare distrattamente paesaggi, città, mare e natura con le sue trasformazioni».
Il racconto inizia da lontano e da sud: sotto l’ombra del Tempio di Giove, il santuario romano che domina Terracina…
«Mio nonno Mario, fiorentino, affidò a mio padre Marcello, architetto, la sistemazione della grande collina sotto il Tempio di Giove Anxur, a Terracina. Siamo sul litorale pontino. In quella villa abbiamo passato l’infanzia, sul vecchio confine tra Stato Pontificio e Regno di Napoli, tra il rudere dove era vissuto il brigante Mastrilli e avanzi di Terme romane. Scendendo al mare, mia madre Sandra aveva ben visibile la ferita di un bombardamento alleato della Seconda guerra. Abbracciarla, era amore al massimo».
A proposito di sua madre, quanta tenerezza nel ricordo di quell’ultima vacanza insieme a Talamone.
«Avevo appena compiuto 19 anni, sapevo che mia madre aveva poco da vivere. Abbiamo fatto l’ultima vacanza estiva, da soli, alla Corte dei Butteri. Sarebbe morta a novembre. Lei mi teneva la mano e mi guardava fisso negli occhi, dopo che le avevo fatto l’ultima iniezione di antidolorifico. Mia sorella Chiara è corsa a suonare disperatamente il piano; Carlotta aveva 13 anni».
La scelta dell’adozione (oltre a Giorgio, nato nel 1982, Francesco Rutelli e sua moglie Barbara hanno tre figli adottivi, Francisco, Serena e Monica) è figlia di quella mancanza in età giovanile?
«No, quelle di Barbara e mie (dopo la nascita di Giorgio, adottare Francisco e poi Serena e Monica) sono state scelte in positivo. Accogliere e integrare, allargare la famiglia, fronteggiare le difficoltà di abbandoni traumatici, non sono photo-opportunity. Sono esercizi molto complicati, scelte che vanno oltre i nostri percorsi di vita».
Dove vi siete conosciuti?
«Un amico porta Barbara a sentire un mio comizio con il Partito Radicale. Poi usciamo insieme e ci scambiamo un bacio a via della Palombella, dietro il Pantheon».
Era un ragazzo emotivamente sereno?
«Passione e serenità possono, e forse debbono, andare d’accordo».
L’amore oggi?
«Vivo con Barbara da 43 anni. È impossibile vivere insieme, anche mezza giornata, senza amore».
Vale la pena di soffrire per amore?
«Vale la pena solo di vivere per amore. Dunque, certo che si soffre anche».
Quando fissa il mare fa pensieri malinconici?
«Impossibile, se il mio amico Maurizio Costanzo ha inventato la domanda “Cosa c’è dietro l’angolo?”. A proposito di Maurizio, mi ricordava sempre che la decisione presa con Maria di adottare un figlio è nata proprio ad Ansedonia, quando lui osservava gli occhi di nostra figlia Serena».
E cosa le ispira il mare?
«Ogni volta che l’orizzonte del mare appare sgombro, io mi accanisco a cercare di capire dove sono le isole al largo o altre terre e promontori. Provo a esplorare le terre non visibili oltre il mare».
Mi racconta una storia d’amore legata al Tirreno?
«C’è una storia legata a un amore speciale, quello per la cultura. I miei antenati palermitani Rutelli erano maestri della pietra, poi costruttori; da metà Ottocento hanno realizzato il Teatro Massimo e lo stabilimento Charleston sulla spiaggia di Mondello, tuttora scenari di molti film. Ci vorrebbe più di questa pagina per raccontare le tante cose che ho potuto realizzare nella mia vita pubblica lungo le rive tirreniche. Da sindaco, il ritorno alla piena balneabilità del mare di Ostia, grazie alle centinaia di chilometri di fognature con depurazione delle acque che prima, abusivamente, finivano nei fossi e poi nel mare di Roma. Da ministro, il completo restauro del Teatro San Carlo di Napoli o la riapertura di alcuni luoghi napoleonici all’Elba».
Quante volte un’onda lunga è arrivata a spazzare via tutto?
«Credo che bisogna essere sempre pronti a subire eventi inattesi o negativi. E a ripartire, per percorsi nuovi. Quanto all’onda, sarà che io sono più costiero che marittimo! Meglio prevenirne qualcuna».
Scatti la Polaroid di un attimo d’intensa felicità nella sua Capalbio.
«È uno scatto in divenire: l’arrivo di mio nipote Carlo con l’altro nipote Brian, l’appena nato figlio di Monica, Christian, e spero il quarto annunciato da Maddalena e Giorgio».
Guardando al mare, sua moglie Barbara: è stata la bussola che le fa fatto mantenere la rotta, l’ancora, o il porto agognato dopo la tempesta?
«Barbara? È la compagna di tutte le navigazioni e dei ritorni con i piedi per terra. Proprio come dice la formula: “Nella buona e nella cattiva sorte”».