Massimiliano Bruno: «Per trovare la propria libertà occorre lasciarla a un altro»
L'attore e regista di solito descrive amori e relazioni sul grande schermo. Oggi racconta il percorso che lo ha portato a stare insieme a Sara Baccarini
Massimiliano Bruno – autore, sceneggiatore e regista – racconta l’amore per professione, al cinema, in teatro e in tv. Attraverso la formula della commedia, «l’unica forma d’arte che parla al popolo», Bruno distrae e diverte il suo pubblico fino a quando, di solito sul finale e contraddicendo quanto detto finora in cerca del riscatto, decide di spiazzare sferrando un pugno, dritto al centro dello stomaco. «Nel lavoro il finale è importante: mi piace raccontare chi, in un climax di eventi, resiste refrattario al cambiamento e poi, a un certo punto, raccoglie tutti gli indizi per vincere il problema e superarlo. Nella vita è diverso: spesso non ne esci vincente o perdente ma così così, una via di mezzo».
Si riferisce alle relazioni?
«Sì, sfido chiunque a dichiararsi felice e appagato al 100 percento del proprio rapporto. Il più delle volte chiudiamo un occhio, tiriamo avanti, guardiamo solo al bello e ci accontentiamo perché costa meno. Capita di continuare a stare insieme per non rischiare, o perché economicamente non possiamo permettercelo. Poi ci sono le scorciatoie come l’amante, Tinder, il lavoro, gli avatar. Questo perché lasciarsi richiede tanta forza. Lasciarsi è un gesto rivoluzionario».
Tra le storie d’amore della sua vita, qual è stata la più rivoluzionaria?
«C’è un amore molto lontano nel tempo che ricordo come uno spartiacque tra il prima e il dopo e mi fa piacere raccontarlo. Ero un ragazzino pienotto e insicuro, di certo il simpaticone della comitiva, ma non il più sveglio da un punto di vista sentimentale. Gli amici avevano già consumato le prime tresche, si erano specializzati nei baci e poi erano andati oltre, verso le prime esperienze sessuali minuziosamente dettagliate nei racconti tra maschi. Io invece una donna non l’avevo mai avuta; non avevo mai baciato, non avevo corteggiato, non avevo sfidato lo sguardo di una ragazza per cercarci dentro dell’interesse. Mi dedicavo con tutte le energie all’album Panini dei calciatori che comunque rimane un must: lo faccio ancora a 53 anni! ».
Si teneva al riparo per insicurezza?
«Certo, non avevo il coraggio di provare a prendere quel che volevo. Se a figurine non avevo rivali, a donne non avevo speranza: a 18 anni la mia verginità era diventata una spada di Damocle che portavo dietro con imbarazzo crescente, tanto da aver sviluppato una strategia: per sfuggire all’immagine dello sfigato che non arriva dove in realtà vorrebbe, mi ero cucito addosso quella del pretenzioso e cominciavo a fare della mia mancanza un vanto, senza crederci affatto: “Io cerco la persona giusta – millantavo agli amici – mica come voi che vi accontentate…”. Iniziai a soffrirne. Durante la maturità conquistai un paio di bacetti confusi, ma a fine estate gli amici rientravano in città con i racconti trionfali delle prime vacanze da soli trascorse rigorosamente in campeggi frequentati da splendide e disinibite ragazze tedesche. Io crescevo con questo cruccio, con la vergogna di non poterne parlare apertamente, con la paura che il mio turno non sarebbe arrivato mai. E più me ne vergognavo, più mi tenevo lontano dal genere femminile. Poi un giorno accadde qualcosa: avevo una migliore amica, Barbara, e fino a quel momento era stata davvero solo la mia amica del cuore. Frequentavamo insieme un corso di teatro, quando durante un esercizio di improvvisazione nel quale dovevamo simulare un approccio amoroso, rimasi molto scosso dal turbamento che quella vicinanza mi creò e che non mi mollò per tutta la notte».
Ha mantenuto il segreto o lo ha confessato a Barbara?
«Il giorno dopo uscimmo insieme come facevamo da sempre, da quando avevamo 13 anni, ma quella sera trovai il coraggio per chiederle: “Tu che pensi? Noi siamo solo amici o potremmo essere fidanzati? ”. Ricordo che le dissi esattamente così e lei mi scoppiò a ridere in faccia. “Ma sei pazzo?”, mi chiese, eppure notavo in lei lo stesso turbamento che ormai dilagava in me. Lì ho provato una scossa e per la prima volta in vita mia ho trovato la forza di lottare per qualcosa che mi interessava davvero, più delle figurine: conquistare il cuore di una donna. Ero di fatto innamorato di lei e chissà da quanto, ma non me ne ero reso conto. Iniziai a corteggiarla come in un film: rose, bigliettini, dolcezze, sorprese».
E Barbara si apriva al corteggiamento?
«Lei da una parte soffriva questo cambio di atteggiamento, la imbarazzava, però poi mi abbracciava e mi diceva “ti voglio bene”. Questo mi spingeva ad andare avanti. Un giorno mi portò una lettera, non c’era whatsapp, era un foglio di carta coi cuori rossi disegnati sui bordi, per dirmi che ero la persona più importante della sua vita perché il suo migliore amico».
Lì si è arreso alla “regola dell’amico”?
«Al contrario! In risposta alla lettera la sera dopo finalmente ci provo. Ricordo che le ho detto così: “Che ne sai se ti piaccio, se neanche mi hai mai baciato? Dai, proviamoci”. E provammo il primo bacio, una sera, in macchina, a 19 anni. I commenti al bacio, esilaranti: passavamo dal “mi pare di aver baciato mio fratello” al “però mi è piaciuto moltissimo”. Ci fidanzammo».
Barbara rappresenta la sua chiave di svolta nei sentimenti?
«Certo, Barbara è la mia prima fidanzata, la mia prima volta, il mio primo tutto. Lo spartiacque tra il ragazzo con le figurine in tasca e l’uomo che arriva sotto casa a prendere la sua amata. Barbara è stata la persona che mi ha fatto superare la mia insicurezza con le donne».
Che ricordo ha della famosa “prima volta”?
«Bellissima, ci siamo fatti un sacco di risate! Eravamo due impediti, buffi e cicciotteli. Un ricordo tenerissimo».
Quanto siete stati insieme e come è finita?
«Un paio d’anni ed è finita come fosse una tragedia, eppure eravamo entrambi consapevoli che doveva finire. Un giorno ce lo siamo detti contemporaneamente: “Non va più, forse dobbiamo allontanarci”. Volevamo tornare amici perché c’era meno sofferenza e forse proprio per questo atto di civiltà e di grande onestà, oggi siamo ancora amici e ci vogliamo bene. Sa cosa ho capito? Che da “pischelli” capisci in sei mesi quello che da grande metabolizzi in dieci anni. Perché sei giovane, più flessibile al cambiamento e senti proprio l’urgenza di cambiare se qualcosa non va più, sei motivato. Da grande invece pensi il contrario: ma dove vado a 50 anni? E rallenti il processo di morte del rapporto; fai la terapia di coppia, ti concedi tempo, progetti una vacanza in coppia… Tutto inutile. Quando è finita è finita».
Lasciarsi è una rivoluzione, l’ha detto lei...
«Certo, è anche il riconoscimento del bello che c’è stato in quel rapporto: prima di farlo marcire decidi con lucidità di voler custodire solo il meglio. Così ci si può volere bene per sempre, è quello che è successo a me».
Lei ama raccontare come cambiano le relazioni. Lo fa anche nel prossimo film, I peggiori giorni (Vision Distribution) scritto e diretto a quattro mani con Edoardo Leo, in uscita il prossimo 14 agosto.
«I Peggiori giorni è un film a quattro episodi che ruota intorno alle relazioni amorose e familiari. Moglie-marito, fratello-sorella, figlia-genitore. Il filo conduttore c’entra molto con questa intervista, perché quando il rapporto non è sano e le persone ostacolano o resistono all’affermazione dell’identità dell’altro, il conflitto è inevitabile. Sono contento che esca in estate perché può stimolare una bella discussione sui rapporti, magari dopo l’arena, in pizzeria con gli amici di sempre».
A proposito di “amici di sempre”. Lei, Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Pierfrancesco Favino, Valerio Aprea, Max Gazzè, Niccolo Fabi... Eravate ragazzi quando animavate le serate al Locale, a Roma, oggi siete le star del cinema e dello spettacolo italiano. Cosa c’è dietro a questo successo corale?
«Il successo è determinato sia dal talento sia dal caso fortuito che ti permette di giocare al momento giusto le tue buone carte. Ognuno di noi si è mosso da solo: Paola ha iniziato in tv con la Gialappa’s, io scrivendo film per Fausto Brizzi, Mastandrea cimentandosi col cinema d’autore… Ma l’onda l’abbiamo sempre cavalcata insieme, ci siamo aiutati, coinvolti e sostenuti sempre. Forse gli artisti di oggi dovrebbero farlo di più».
L’ha incontrata la donna della sua vita?
«Sì. Sono fidanzato con Sara, abbiamo costruito un rapporto che scorre sereno tra passione, interessi comuni, rispetto e divertimento, mi pare naturale stare con lei e questo conta molto. Più ti avvicini alla fine e più capisci che la vita la devi surfare, non la puoi programmare più di tanto e andare dove ti porta l’onda. Godi finché ce n’è, non puoi sapere per quanto».
Cosa ha capito dei sentimenti fin qui?
«Che bisogna lasciare la libertà all’altro per trovare la propria. Non c’è rapporto di coppia se non concedi fiducia, e pazienza se hai preso la fregatura, bisogna tornare ad essere spavaldi. Ho capito che il rapporto si costruisce in due, che devi essere aperto al contraddittorio sempre».
Che storia d’amore contemporanea le piacerebbe raccontare?
«Una storia moderna all’antica, fatta di passeggiate sul lungo fiume e di appuntamenti in gelateria, di chiacchierate notturne e di lettere lasciate nella buca della posta. Mi piacerebbe raccontare una storia di intimità vera, senza che il mondo di whatsapp ci entri dentro».
Chiudiamo così: che situazione sentimentale si augura per la vecchiaia? Ce la racconti come la scena di un film.
«La girerei così: la mia donna parcheggia la macchina, io sono seduto accanto. Mi aiuta a scendere perché più giovane e scattante di me e insieme, mano nella mano, entriamo a teatro per applaudire gli allievi del mio Laboratorio».