Rosanna Lambertucci di nuovo sposa a 77 anni: «La fortuna di essere stata amata»
Il terzo matrimonio della giornalista: «Ora abitiamo nella casa dell’astrologa Alberti, fu proprio lei a dirmi che avrei trovato l’uomo giusto»
Abbiamo chiesto a Rosanna Lambertucci, giornalista e volto storico della televisione, nonna, mamma e moglie fresca di nozze (lo scorso 7 luglio ha sposato nella sua Sabaudia Mario Di Cosmo dopo otto anni insieme), di riflettere insieme a noi sul “viaggio” che l’ha portata fin qui. Sposa a 77 anni per la terza volta.
Chi o cosa, in amore, ha toccato così intensamente le sue corde tanto da cambiarne il suono per sempre?
«Era sempre il mese di luglio ma del 1957. Comincio da qui perché voglio parlare di un uomo di cui non ho mai raccontato prima, il mio primo amore e il primo marito. Avevo solo 12 anni quando mio padre morì all’improvviso in un incidente stradale a Latina. Mamma dovette rimboccarsi le maniche, sola a 37 anni con 4 figli, e si sostituì completamente a lui sia nell’attività agricola a Sabaudia, sia al Grissinificio dello Scrocchiarello Lambertucci a Roma, l’azienda di famiglia. Il ricordo è ancora vivo: papà nella bara. Lo tocco e percepisco un freddo anomalo: è peggio del ghiaccio, è spaventoso, il rigore della morte è una cosa a sé. Quel freddo l’ho portato dentro per anni, in me cresceva un senso di abbandono dilagante e una percezione, che non ho più perso, quella di perdere le persone che amo. Crescevo distaccata da tutti, silenziosa, in disparte. Sui dei cartelloni la pubblicità diceva: “Non piangere più! Tutto ripara Uhu”. E sapete cosa feci? Andai al negozio a comprare Uhu, ma si trattava semplicemente di una colla adesiva. Piansi di nuovo, senza rimedi al mio stato sofferente. A Natale sono con mia madre a casa di amici di famiglia per scambiarci gli auguri e conosco un uomo più grande di me, Carlo, che abitava a Palermo. Lui aveva 20 anni e tornava a Roma a trovare il padre perché i genitori erano separati: uno scandalo ai tempi. Io non avevo ancora compiuto 12 anni ancora e credo gli suscitassi molta tenerezza, sempre così dimessa, in un angolino, impenetrabile. “Che vuoi fare da grande?” mi domandò, avvicinandosi per la prima volta in cerca di un dialogo. Io rimasi colpita perché si interessava di me, commossa quasi; il bisogno di una figura paterna iniziava a manifestarsi con prepotenza».
Ci fu un coinvolgimento?
«Assolutamente no, ero una bambina. Partì all’improvviso e non lo vidi più, ma dissi a mia madre: speriamo di incontrare un uomo così, da grande. Cinque anni dopo ero sbocciata da crisalide a farfalla e a un matrimonio lo incontrai di nuovo, rimase stupito di trovarmi così cresciuta e molto spontanea, chiese a mamma se potevo sedermi al loro tavolo e parlammo moltissimo ma il giorno dopo sarebbe ripartito: “Mi piacerebbe rivederti prima di partire per Palermo” e ci vedemmo. Da quel momento iniziò una corrispondenza che diventò il sale della mia vita e persi completamente la testa per quel ragazzo seppur fossi ancora una ragazzina. Anzi, le quindicenni di quei tempi erano delle bambine».
Quindi inizia una storia d’amore a distanza?
«Affatto, perché dopo tre mesi smette di scrivermi e contemporaneamente mi si chiude lo stomaco, inizio a non mangiare più. È mia madre a confessarmi con delicatezza la verità, una verità spietata che si ripresenterà nelle mie storie: Carlo era un donnaiolo. Amava le donne più di qualsiasi altra cosa e le donne amavano lui».
Come proseguì l’adolescenza?
«Nel bisogno di una figura maschile accanto. A 20 anni conosco il mio primo fidanzatino: era molto innamorato di me, geloso, ma io pensavo sempre a Carlo col quale non c’era stato nulla. Decidiamo di sposarci a settembre. A luglio accompagno mamma a Chianciano, regno delle cure termali e cosa succede? Incontro di nuovo Carlo, che mi guarda con occhi di fuoco e confessa: “Tua sorella non mi dice il nome del vostro hotel, sono tre giorni che ti cerco”. “Non mi cercare”, gli rispondo, “sto per sposarmi”. E lui: “tu non ti sposi perché ti sposo io”. All’istante ho capito che era l’uomo della mia vita».
Lo aveva deciso?
«Avevo già deciso. Volle incontrare mia madre, che non acconsentì e prima di andarsene di nuovo mi lasciò un biglietto in tasca con un numero di telefono: “I primi di agosto sarò a Roma, chiamami”. Trascorro tutto luglio a pensarlo, afflitta da un senso di colpa nei confronti del povero fidanzato che mi si trasforma in un tappetino: dicevo sempre sì, per vergogna e per dispiacere. Un giorno andai in piscina a Sarteano e poiché non sono capace di tuffarmi di testa (mi fa paura, mi tuffo soltanto a candela), decisi che se ci fossi riuscita avrei avuto anche il coraggio e la forza di annullare il matrimonio e di sposare Carlo. E ovviamente lo feci».
Lo disse subito a sua madre?
«No, lì iniziò il periodo della grande attrice. Fingevo di essere una promessa sposa felice, ma in realtà vivevo in funzione di quegli incontri segreti con Carlo, in piazza Augusto Imperatore, quando tornava da Parigi dove si era trasferito. Ero ancora minorenne, non avevo compiuto 21 anni, lui invece era un uomo brillante e geniale chiamato a lavorare per la banca più importante di Parigi. E comunque mi disse: “Ricorda, se il tuo problema è Parigi, io sono disposto a fare l’imbianchino a Roma”. Decidemmo di sposarci il 22 aprile, lasciai il fidanzato a pochi giorni dall’altare e senza dirgli tutta la verità».
Ha pensato che fosse stato suo papà a mandare Carlo?
«No, perché non è stato un matrimonio felice. Carlo continuò a fare il dongiovanni in giro, mi adorava ma non riusciva a cambiare la sua vita che era fatta di partenze, avventure, addii. Me ne sono resa conto presto, quando ho scoperto che aveva una frequentazione con una donna che conoscevo bene è stato un dolore sovraumano e sono scappata via. In quel periodo ho conosciuto l’anorresia. Volevo separarmi, anzi volevo l’annullamento, perché Carlo su questo matrimonio aveva messo un veto: quello di non avere figli. E glielo chiesi».
Lui come reagì?
«Mise una condizione. In quel periodo lavorava a Città del Messico e mi chiese di raggiungerlo: “Dammi la possibilità di farti vedere che sono cambiato, stai qui una settimana e poi decidi che fare”. Nel frattempo avevo cominciato a lavorare in Rai e sentivo parlare di un certo Alberto Amodei, un Paul Newman all’italiana, bellissimo. Ci incrociamo per la prima volta tra la mensa e gli ascensori di viale Mazzini, noto questa figura maschile slanciata, piuttosto pensieroso. Si illumina solo quando i nostri occhi si incrociano, io scopro per la prima volta i suoi, azzurri, quelli di mia figlia Angelica e di mia nipote Caterina e rimango fulminata. Ma non ci diciamo niente».
A Città del Messico è più andata?
«Ci ho provato! Ma sul volo per Città del Messico, che avrebbe fatto scalo a New York, c’è anche Amodei, che mi dice: “Rosanna, non andare in Messico. Resta con me”, e io decido di restare con lui. Ci sono rimasta gran parte della mia vita».
Di imprevisto in imprevisto...
«Alle Cascate del Niagara successe tutto: Alberto si mise a suonare il pianoforte in hotel, cantava, parlava cinque lingue, mi incantava con i suoi modi gentili. Come lui nessuno, non avrei mai potuto dimenticarlo. Il 27 maggio, che purtroppo è anche la data della morte di Alberto, ho ottenuto l’annullamento e il 2 luglio ci siamo sposati. Io sono quella dei matrimoni lampo».
Dopo cosa avvenne?
«Capitò una tragedia, perdo la nostra bambina di sette mesi per un distacco della placenta. Io ero ricoverata in ospedale in seguito a una forte emorragia e Alberto fece il funerale da solo, oggi sono entrambi sepolti a Latina».
Poi è nata Angelica, avete coronato il sogno di una famiglia e vissuto anni bellissimi insieme. Fino alla crisi.
«Alberto divenne un uomo di grande successo, portò nel mondo lo sport, i Mondiali di calcio di Italia ’90 nacquero con lui, ha accompagnato papa Wojtyla in tutti i suoi viaggi. Era molto assente, qualche volta ha fatto il birichino e io l’ho scoperto. Anch’io ero molto corteggiata e di successo e a un certo punto l’ho lasciato, era fine luglio. Mi disse: “Ad agosto non si abbandonano neanche i cani”. Mi sono separata da Alberto ma dentro lo avevo sempre e lo chiamavo tutti i giorni: “Ti faccio pena?”, mi chiedeva. “No, ho bisogno di sentirti”. A volte per una scappatella si butta via tutto. Carlo e Alberto: entrambi mi volevano bene, tanto bene. Sono stata molto amata. L’astrologa Lucia Alberti me lo disse: “Io una donna così amata non l’avevo mai incontrata prima. L’uomo giusto arriverà: molto, molto lontano nel tempo, e sarà della bilancia”.
È mai arrivato?
«Oggi abito proprio nella casa di Lucia con Mario, che ho incontrato molto, molto tempo dopo, nato sotto il segno della bilancia…».