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I ricordi di Dino Zoff «Mai attriti con Bearzot Scirea, grande persona» «La parata più difficile sul colpo di testa di Oscar»
“Ancora oggi incontro persone che mi dicono “del Mondiale dell’82 ricordo ogni istante, per quello del 2006 non è così”
Il Mondiale del 1982 vinto a 40 anni suonati è solo uno dei suoi tanti primati. Dino Zoff, oggi schivo come allora, dice di «non ricordarli», che ormai «non hanno importanza». Ma dentro quel Mundial è il ricordo più vivo, per il Mito del calcio azzurro.
Chi è stato Zoff per il calcio?
«Uno che ha lavorato bene, soprattutto con serietà. Anche se è poco umile dirlo, sono stato abbastanza un buon esempio. Siccome tutti me lo ripetono, deve essere vero ed io ci credo».
Si coglie però dal timbro della voce che l’eco dell'avventura spagnola svetta: «La partita che ricordo meglio? Quella con il Brasile, in particolare la parata a tempo quasi scaduto. Quel colpo di testa di Oscar poteva rovinare tutto. Invece riuscii a tenere la palla sulla linea. Passai comunque 5 secondi terribili, temendo che l’arbitro potesse veder male, anche perché non capivo dov’era. Non fu la parata più bella, ma certo la più difficile». La Nazionale gli ha regalato la gioia più grande di una carriera inimitabile: la Coppa del mondo alzata da capitano (quel gesto ispirò un francobollo disegnato da Guttuso) l’11 luglio 1982 a Madrid, grazie al 3-1 in finale contro la Germania Ovest.
Trofeo festeggiato, dopo un bacio in mondovisione al tecnico-padre Enzo Bearzot, al ritorno in albergo, con mezzo bicchiere di vino e una sigaretta assieme a Gaetano Scirea, compagno di stanza, alla Juventus e in azzurro. Due figure, due protagonisti di quella spedizione, che a 40 anni di distanza non hanno perso nulla della loro lucentezza.
«Il rapporto con Bearzot era veramente affettuoso. Attriti? Tra noi non erano possibili perché entrambi conoscevamo i rispettivi ruoli e sapevamo rispettarli. Le invasioni di campo erano fuori discussione, non ce n’era ragione».
Scirea, scomparso nel 1989 in un incidente stradale in Polonia, «era un uomo di grande stile e classe, sia in campo sia fuori. Una persona stupenda, con il raro dono di farsi capire senza bisogno di spendere tante parole. Tutt’ora mi manca moltissimo». Quella cavalcata «ebbe un sapore particolare – continua Zoff – e noi ce ne rendemmo conto un po’ per volta. Ancora oggi incontro persone che mi dicono “del Mondiale dell’82 ricordo ogni istante, per quello del 2006 non è così”.
Penso che fu la spettacolarità a rimanere impressa, il senso di rivincita di un intero Paese alle prese con una fase delicata della sua storia. Una scossa di orgoglio nazionale».l