Il Tirreno

Carla, partigiana e giornalista Ritratto anticonformista della moglie di Sandro Pertini

Alessandra Bernardeschi

Il fratello Umberto racconta il libro sulla biografia della sorella «Non andò mai al Quirinale per rispetto del ruolo del marito» 

09 agosto 2019
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la storia

Partigiana, giornalista, psicologa. La figura di Carla Voltolina, moglie di Sandro Pertini, è rimasta nell’ombra per anni. Eppure il suo ruolo, durante gli anni della Liberazione e dopo, come moglie del settimo presidente della Repubblica Italiana, è stato fondamentale. Nata nel 1921 a Torino, Carla era un donna controcorrente per l’epoca, e lo è anche per la società di oggi, dove l’apparire conta talvolta più del pensiero, delle azioni. A presentare questa donna, sono Antonella Braga e Luisa Steiner nel libro “Carla Voltolina” edito da Unicopli. Un libro carico di testimonianze che fanno emergere una donna fuori dagli stereotipi. Quando seppe che il marito era in lista per diventare presidente della Repubblica, gli disse: «Facciamo così, - se ti eleggono me ne vado in Francia e ci rivediamo quando termini il settennato». E così accadde, ma a Roma tornò poco dopo. Sandro Pertini, come si racconta nel libro, dopo la nomina a presidente, commentò: «Ora chi glielo dice a Carla». Una donna che rifiutò di abitare al Quirinale. L’eletto era Pertini, non lei e così «chiese a Sandro - ha raccontato ieri mattina Umberto Voltolina, fratello di Carla - di considerare il Quirinale un ufficio e non una dimora e di tornare a casa la sera, in quella mansarda - studio di 35 metri in piazza Trevi. Solo dopo la morte di Pertini mise piede al Quirinale ed ebbe la prova di quanto fosse stato amato suo marito».

Si erano sposati nel 1946. «Sandro non era molto convinto di sposarsi - racconta Umberto Voltolina -: tra lui e mia sorella c’erano 25 anni di differenza. Le disse chiaro: “Ricorda, per me prima c’è il Partito socialista poi ci sei tu. Il loro fu un grande amore, ma il suo impegno per la politica, il rigore morale venivano prima di tutto. Sposarono in giugno e non hanno mai festeggiato perché Pertini era sempre impegnato nei comizi che lui chiamava “bagni di umanità”. Mi raccontò che una volta, terminato un comizio, un bracciante del sud con le mani indurite dal lavoro lo salutò dicendogli: “Sandro, sei uno dei nostri”. Per lui fu un grande regalo».

«Mia sorella all’ultimo anno di ragioneria abbandonò improvvisamente la scuola, da anticonformista non amava le adunate paramilitari in camicia nera, forse voleva lavorare convinta che solo con l’indipendenza economica potesse raggiungere la libertà». Bella la lettera ai famigliari datata 22 ottobre 1944 e dedicata a quella che lei chiama “Piccola mamma”. Qui scrive: «Sento nel modo assoluto la necessità di essere libera di agire come porta la mia natura». Nel 1943 Carla giunse a Roma ed entrò in collegamento con un gruppo di socialisti riunitosi intorno a Eugenio Colorni; entra nella Resistenza attiva, formazione Matteotti. «Non voleva essere chiamata staffetta - dice il fratello Umberto - ma ufficiale di collegamento. Nel 1944 fu mandata a Visto, nelle Marche, dove fu arrestata e assieme ad altri partigiani caricata su un camion per essere portata alla fucilazione. Durante il tragitto, su una strada di montagna, un militare tedesco, forse impietosito da questa giovane e bella ragazza che piangeva, la buttò giù dal camion salvandole la vita». Terminata la guerra, nel 1945 intraprese la carriera giornalistica realizzando inchieste sul mondo del lavoro operaio, sulle donne e collaborando con la socialista Lina Merlin. «Interruppe la carriera di giornalista parlamentare quando Pertini venne eletto presidente della Camera. Lo riteveneva incompatibile col nuovo ruolo del marito». Riprende gli studi e nel 1972 si laurea in scienze politiche e sociali, nel 1977 si specializza in psicologia e presta servizio all’ospedale S. Maria Nova di Firenze. Della vita con Pertini diceva: «Con Sandro ho imparato a dissentire con moderazione. Mi ha amata moltissimo ma io, forse, l’ho amato di più». —

Alessandra Bernardeschi

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