Daniel e quella lunghissima battaglia per la vita: «Dopo 14 anni ho battuto il tumore al cervello»
Torre del Lago: la scoperta della malattia negli anni della scuola media, il primo intervento a Livorno. «Il dottor Giorgetti mi ha salvato, ora il mio sogno è trovare un lavoro e farmi una famiglia»
VIAREGGIO. Neppure trent’anni di età e gli ultimi quattordici sono già stati quelli della battaglia per la vita.
Daniel Marius Pop vive in Italia da quando aveva sei anni, arrivato dalla Romania ma “torrelaghese doc” come si definisce lui stesso oggi che sta aspettando la cittadinanza italiana. A quattordici anni la scoperta della malattia che ancora oggi prova a dargli filo da torcere: una tipologia di tumore cerebrale a crescita lenta che si sviluppa dalle cellule che rivestono gli spazi all'interno del cervello.
«Avevo una paresi facciale non camminavo più – è il racconto di Daniel che spiega ancora –: Con la mia testimonianza voglio dare coraggio ad altri ragazzi che passano momenti come il mio. Non camminavo».
Il tumore aveva aggredito l’encefalo e intorno a Daniel e alla sua malattia si trova riunito un gruppo di medici capaci professionalmente e umanamente.
Daniel li cita uno a uno come persone che fanno parte della sua vita di giovane uomo prima che di paziente: «Jacopo Giorgetti (responsabile della Neurochirurgia d’urgenza dell’azienda ospedaliera, dopo aver lavorato per anni agli Spedali Riuniti), che mi ha operato due volte, mi ha salvato. Con lui è nata una amicizia che va oltre il rapporto paziente-medico. Grazie a lui sono in piedi. E i medici Emanuela De Marco e Luca Coccoli dell’Unità operativa di oncoematologia pediatrica del Santa Chiara di Pisa, che mi hanno accolto quando ero solo un ragazzino e che ancora mi seguono, sempre in contatto con i colleghi dell’Istituto Tumori di Milano, Maura Massimino e Giovanna Gattuso, Istituto dove vado a fare i controlli».
Il primo intervento, avvenuto all’ospedale di Livorno, per Daniel è stato quando «la malattia stava già attaccando il cervelletto».
Poi, quest’anno, dopo dodici anni da quell’operazione, la malattia si è ripresentata. «Questa volta – racconta ancora Daniel – ha aggredito la cervicale, con una recidiva che hanno dovuto asportare a Cisanello perché mi stava provocando il blocco di una gamba e una mano. Il dottor Giorgetti ha eseguito un intervento molto delicato sulla cervicale L2-L3. Non ci sono state paresi post-operatorie nè deficit di alcun tipo a seguito dell’intervento».
Quando Daniel si sottopone alla prima operazione, così il ricordo di quei giorni, «mi dissero che c’era un rischio altissimo di rimanere paralizzato. Al risveglio, invece, alzai le mani e le gambe. Ovunque andrò nella vita porterò il nome del dottor Giorgetti. Che un giorno mi ha detto: “Il regalo più grande per me è stato avercela fatta per te. È un uomo che dà tutto. E grazie a lui sono in piedi».
Non sono stati anni facili, quelli di un adolescente alle prese con una malattia nel periodo della vita nel quale ragazzi e ragazze affrontano il mondo a morsi: «Dopo il primo intervento, per i primi tre anni non ho potuto fare niente. Ho dovuto recuperare l’equilibrio. Certo, la depressione c’era. I miei amici erano tutti in giro e io guardavo. Mi chiedevo: ce la farò a trovare una ragazza? Poi mi sono detto: hai la vita davanti, arriverà anche il tuo momento».
Perché Daniel non è uno che si piange addosso. «Mi sono tatuato il Gladiatore e poi ho trovato una persona che per me è diventata come un padre: Roberto Altemura con i suoi insegnamenti di karate».
Negli anni il ragazzino che è dovuto crescere troppo in fretta non ha mancato gli appuntamenti con la vita: ha coltivato la passione per la palestra, si è formato nel campo della security, ha portato avanti i propri interessi nel campo dell’informatica e ha anche lavorato come metalmeccanico in un cantiere navale di Viareggio. Che non gli ha rinnovato il contratto quando la malattia è tornata a fare capolino.
«Adesso non sto lavorando», è un po’ il rammarico di Daniel che dovrà di nuovo fare un viaggio a Milano per stabilire il piano terapeutico che prevede un ciclo di radioterapia. «Ma la risonanza ha dimostrato che non c’è più niente. A volte io stesso mi dico: ma come fai? Adesso spero che sia finita e che io possa pensare al mio più grande desiderio, quello di farmi una famiglia».
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