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Versilia

Cento anni a bere dalla “Coppa di Champagne”, l’inno più amato

adolfo lippi
Cento anni a bere dalla “Coppa di Champagne”, l’inno più amato

La canzone simbolo dei corsi mascherati nasce nel 1921 su impulso di Sargentini, Giannini e Tolomei

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la storia

adolfo lippi

“Su la coppa di champagne”, l'inno simbolo del carnevale di Viareggio compie cent'anni. Lo scrissero, ai tavoli di “Bombetta” il poeta Lelio Maffei e il musicista Icilio Sadun del 1921, in gennaio. Per titolo si chiamava “Il carnevale a Viareggio”.

Allora in città erano tre le idee dominanti. A sinistra erano ancora accesissimi gli animi dopo le famose “giornate rosse” succedute alla tragica partita di calcio tra Viareggio e Lucca. A destra, in contrapposizione al sovversivismo anarco-comunista, l'avvovato Reggiani aveva costituito, con un gruppo di facinorosi, la prima sede del neonato partito fascista. Al centro, tra borghesi, albergatori, proprietari di bagni e commercianti, si aspirava invece, dopo la tragica prima guerra, a un lancio “alla grande” del turismo da proiettare alle folle di vacanzieri che riprendevano a circolare sulle spiagge da Cannes a Nizza a Biarritz.

Tra i propugnatori di questa “terza via”, allettati dalle divagazioni liberty di Galileo Chini, dalle sofisticate musiche di Giacomo Puccini, da presenze quali Thomas Mann, Isadora Duncan, Paul Klee, Eric Maria Rilke, si distinguevano il moderato Alberto Sargentini, il popolare-democristiano Giuseppe Giannini e il liberale Ernesto Tolomei.

Il trio era stato messo dall'amministratore comunale a riorganizzare il carnevale. Che per la Grande Guerra e l'epidemia spagnola era stato abolito per anni. E come pensarono di riorganizzarlo?

I tre guardano soprattutto alla Francia, a Nizza a Cannes. E, andandovi, Sargentini tornò con l'idea che bisognasse fare del carnevale uno strumento non più sagra di paese, tra tordelli e lupini, ma leva efficace per il lancio verso l'Europa della Viareggio vacanziera e ambiziosissima.

Sicché il carnevale avrebbe dovuto avere un inno, una rivista giornale, sfilate per parecchie settimane, eventi di contorno, veglioni mondani. Insomma il carnevale festa da allineare allo spirito di una rinata “dolcevita” che tra auto di lusso, donne in corte gonne, balli sfrenati, avrebbe richiamato negli alberghi e sui viali un bel mondo necessario a far risplendere la riviera.

Così quando si rivolsero al poeta concittadino Lelio Maffei, frequentatore di Caffè come il “Margherita” e il “Gianni Schicchi”, l'animus che all'inno richiese ai committenti, doveva essere importato a questo clima “boulevardier” che anche Giacomo Puccini, nel narrare la sua “Bohéme” con in ritrovi scapigliati di Montmartre e Montparnasse, aveva ampiamente citato con insolita allegria.

E Lelio Maffei rispose in pieno a quelle idee. Sicché scrisse un testo dove non solo si citavano, come espressione del dionisiaco carnevalesco balli come il foxtrot e il tango, ma si alludeva chiaramente alla lussuria, alla sfrenatezza. Invitando tutti a sollevare i calici non più al rosso picciolo dei popolani bensì allo champagne, vino biondo di peccaminose allusioni.

Con queste parole i tre carnevalari si risolvere poi, come noto, per la musica a Giacomo Puccini. Ma Puccini che aveva appena abitato a villa al “Marco Polo”, sebbene compiaciuto per l'invito (eppoi a lui questo tono disinibito piaceva assai), rifiutò a musicare. Trovando la scusa di dover scrivere “la Turandot”. Ed era scusa accettabilissima.

Su indicazione di Puccini fu allora richiamato il musicista Icilio Sadun, che in quel momento si trovava a Parigi al seguito di un notissimo comico, Fregoli. Sadun era nato a Viareggio figlio di un ebreo proveniente da Livorno che aveva messo su un negozio di tessuti in via Garibaldi.

Sadun, noto frequentatore del ristorante “Bombetta”, in via Fratti, si disse entusiasta del progetto. E tra un bicchiere di rosso e un piatto di baccalà, compose la musica sulle parole di Maffei.

Il risultato fu un trionfo. Ancora oggi, cent'anni dopo, “Su la coppa di champagne” fa parte dell'immaginario viareggino e viene cantata e ricantata senza stancare mai, poiché è liberatoria e frivola.

Ma allora, nel 1921, i tempi purtroppo non videro trionfare gli ideali cosmopoliti della “terza via”. Stravinsero, invece, i fascisti e imposero al carnevale una connotazione nazional-popolare che niente aveva a che vedere (con i treni popolari e gli incitamenti fisici all'imperialismo e alla guerra). La “coppa di champagne” servì tuttavia a un noto antifascista, Gino Guidi, che ne mutò le parole e scrisse: “Nella zona dei cantieri / c'era il club dei Calafati / i fascisti scalmanati / l'han voluto devastar! / Che prodezza in Cinquecento / contro dieci tavolini / i fascisti o cittadini / sono eroi a quanto par!”.

Poi, negli anni bui, Icilio Sadun, che era ebreo, fu perseguitato. Ebbe la fortuna di non finire nei campi di concentramento nazisti, come invece capitò a un altro ebreo festaiolo, il conte Boni detto “Cravache”, animatore della mondanità balneare della Passeggiata, tradotto e ucciso in Germania.

E nel 1946 Sadun, proprio assieme a Gino Guidi, produsse un'altra bellissima canzone: “Risorgi ancor più bella viareggina”, che dette il via alla rinascita del carnevale che, nonostante il virus maledetto, procede ancora speditamente. Nella speranza che non vi saranno altri anni bui, nella speranza di poter ancora brindare a champagne, dando al libeccio pensieri e noia. —

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