“La ricotta” di Pasolini, il Vangelo degli ultimi e la critica agli intellettuali
Il regista e scrittore critica gli intellettuali accecati dall’estetica. Ma l’opera gli costò una condanna per vilipendio alla religione
Il mediometraggio di Pier Paolo Pasolini “La ricotta” (1963), che costituisce uno dei quattro episodi del film “Ro. Go. Pa. G”, sigla che fa riferimento ai quattro registi, sviluppa e sintetizza temi centrali del pensiero del regista quali la vivace vita di borgata, la capacità di rileggere il passato in chiave moderna, il difficile e contraddittorio rapporto con il cattolicesimo e i cambiamenti socio-culturali della sua epoca.
La pellicola è incentrata sulle vicende di una troupe nella campagna romana alle prese con un kolossal sulla Passione di Cristo, una tipologia di film impegnata che prevede l’utilizzo di numerosi mezzi e di una grande quantità di attori sul set. Della troupe fa parte Stracci, interpretato da Mario Cipriani (foto a sinistra), un sottoproletario romano che interpreta la comparsa del Buon Ladrone. Stracci regala ai propri familiari il cestino del pranzo appena ricevuto dalla produzione. Quindi, affamato, si traveste da donna per rimediarne un secondo, che viene mangiato dal cagnolino della prima attrice del cast.
Sul set giunge intanto un giornalista che intervista il regista straniero (interpretato da Orson Welles) a proposito del film. Terminata l’intervista, il giornalista trova Stracci che accarezza il cane e glielo compra per mille lire. Con i soldi, Stracci corre dal “ricottaro” dei dintorni a comprarne tutte le rimanenze per sfamarsi, ma viene chiamato sul set e legato alla croce per la ripresa dei lavori. Alla successiva interruzione, corre a mangiare la ricotta e, sorpreso dagli altri attori, viene invitato ad abbuffarsi con i resti del banchetto preparato per l’ultima cena.
Al momento di girare la scena della crocifissione, muore di indigestione sulla croce. Il regista, senza ombra di commozione, commenta: «Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo...».
Orson Welles, intellettuale già molto conosciuto negli anni ’60, interpreta in questo caso un ruolo opposto a quello di Stracci. Rappresenta il mondo delle classi dominanti e, divorato da una fame estetica, vuole cercare un’arcaica spiritualità attraverso la riproduzione di opere lontane, richiedendo da parte degli attori una solenne interpretazione “shakespeariana”, in contrapposizione alla rozzezza e all’ingenuità della maniera pasoliniana, come possiamo notare quando Pasolini interrompe le riprese dei sacri tableaux vivants con un chiassoso twist accompagnato dalle risate delle comparse. Così si aliena dal mondo e dalle vere esigenze delle borgate romane, da lui aspramente criticate ad ogni interruzione delle riprese più sacre del film.
Ma Pasolini non vuole far riflettere sulle dinamiche che si sviluppano durante le riprese, bensì sui rischi dell’intellettuale che non riesce ad esprimere la vera essenza del Vangelo che vuole rappresentare.
Attraverso questo episodio, il pubblico può dunque identificare il ruolo di Cristo nello stesso Stracci, un misero e umile sottoproletario morto di fame che dona il pranzo alla numerosa famiglia che lo consumerà in un prato come una vera Eucaristia.
Questo episodio venne sequestrato nel 1963 con la condanna di Pasolini a quattro anni di reclusione per vilipendio alla religione. Il pubblico ministero non solo non riconobbe nelle scene del pranzo della famiglia di Stracci e della sua derisione il vero senso del Vangelo, ma ritenne motivo di scandalo la rottura di questo presunto clima religioso.
*Studentessa di 16 anni del liceo XXV Aprile di Pontedera