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L’intervista

Il futuro della Chiesa dopo Papa Francesco? Il teologo pisano: «Possibile un pontefice africano ma in conclave tante incertezze»

di Francesco Paletti
Il futuro della Chiesa dopo Papa Francesco? Il teologo pisano: «Possibile un pontefice africano ma in conclave tante incertezze»

Monsignor Severino Dianich è uno degli studiosi di ecclesiologia più lucidi e stimati a livello internazionale: «Indietro non si torna, ma occhio alle sorprese»

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«In molti dicono che indietro non si torna? Lo auspico vivamente anch’io. La storia, però, ci dice che qualche volta è capitato di fare passi indietro». Sorride bonario monsignor Severino Dianich, 91 anni ad ottobre, due in più di Papa Francesco, sacerdote pisano d’origine istriana, ma anche e soprattutto uno dei teologi e degli studiosi di ecclesiologia più lucidi e stimati a livello internazionale.

Crede che la Chiesa non proseguirà sulla strada di Bergoglio?

«Non dico assolutamente questo. Mi limito solo a constatare che potrebbe capitare e che non lo si può escludere apoditticamente a priori. Anche se, glielo assicuro, mi piacerebbe tantissimo dirle il contrario. E non sono neppure pessimista. Anzi, mi definirei moderatamente ottimista».

Perché?

«Tutto sommato mi pare che la Chiesa non attraversi un brutto periodo, specie dopo i 12 anni di pontificato di Francesco. Mi riferisco al clero e all’episcopato, ma anche al popolo di Dio. O quanto meno, mi lasci dire che è assai meglio di quanto accaduto in epoche passate».

Dunque è probabile che il successore di Bergoglio prosegua nel solco tracciato dal pontefice argentino?

«È quello che mi auguro vivamente ed è ciò che penso possa accadere. Sarebbe molto importante proseguire nell’impegno per dare piena attuazione alle indicazioni del Concilio Vaticano II. Francesco ha spinto molto in tal senso, in particolare sulla sinodalità, ossia sulla necessità per la chiesa di decidere in modo sempre più collegiale, non delegando totalmente al vescovo a livello diocesano o al Papa sul piano universale. Può suonare paradossale che a spingere in tale direzione sia stato uno dei pontefici più decisionisti della storia moderna (sorride, ndr). Però lo ha fatto ed è un lavoro che va proseguito».

Il fatto che 108 dei 135 cardinali elettori del conclave siano stati creati da Francesco può aiutare?

«In linea di principio le risponderei di sì. Purché non se ne faccia un’equazione matematica. Solo per rimanere alla storia recente ricordo che il collegio cardinalizio di Benedetto XVI ha eletto un papa come Bergoglio. E lo stesso Giovanni XXIII, il pontefice del Concilio, fu espressione di un conclave teoricamente di segno abbastanza diverso».

Dunque?

«Il fatto che la maggioranza degli elettori siano di nomina bergogliana, può sicuramente far ipotizzare l’elezione di un nuovo pontefice vicino a lui pastoralmente ed ecclesiologicamente. Ma non è affatto scontato che accada e non vi è alcun automatismo».

Aver nominato la stragrande maggioranza degli elettori non è stata una scelta strategica di Bergoglio?

«Dice per avere nominato un collegio cardinalizio a lui molto vicino? Mi sentirei di escluderlo in modo perentorio: in realtà è sempre accaduto. D’altronde il Papa ha piena libertà nella creazione dei cardinali e, dunque, mi pare logico che, proprio per inclinazione naturale, non nomini vescovi che sono su posizioni lontane, se non opposte, alle sue».

Guardando la provenienza qualche commentatore si è sbilanciato ipotizzando il primo Papa africano.

«È possibile. Anche se nell’episcopato e cardinalato africano vi è pure una corrente abbastanza conservatrice e non penso che possa essere questa ad esprimere il pontefice. Però non mi stupirei se anche il prossimo pontefice arrivasse “dalla fine del mondo” per dirla con le parole di Francesco, anche se probabilmente non dall’America Latina».

Che eredità lascia Francesco?

«Difficile e pesante. È stato un pontefice che ha spinto tantissimo per una chiesa fortemente radicata nel Vangelo. Ha chiamato tutte le religioni ad allearsi e impegnarsi insieme per la pace. Penso al documento di Abi Dhabi sulla fratellanza umana e all’encliclica “Fratelli Tutti”. La storia questo glielo riconoscerà».

È vero che il suo è stato anche un pontificato diviso?

«Per certi versi sì. Negli ultimi due o tre anni, invero, mi è parso che le voci dei contestatori si fossero un po’ placate. Ma sicuramente, in ambito ecclesiale, è stato negli ambienti un po’ meno inclini al cambiamento...».

Ad esempio?

«Le direi quando si è speso per una più ampia accoglienza ecclesiale delle persone lgbt: soprattutto dopo il documento sulle benedizioni, vi fu una vera e propria levata di scudi. In particolare proprio da parte dell’episcopato africano».

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