Papa Francesco ha cambiato tanto: ora indietro non si torna
Un pontificato di tanti semi che sbocceranno: ecco perché la strada è tracciata
Più che un papato di frutti è stato un papato di semi – ricordava qualche settimana fa Padre Antonio Spadaro, gesuita come Jorge Bergoglio e a lui vicinissimo. È proprio così: Papa Francesco ha seminato tantissimo in questi dodici anni di pontificato, a partire dalla nomina dell’80 per cento dei cardinali che eleggeranno il suo successore. Il Conclave è in mano ai porporati voluti da Francesco e la strada appare tracciata. La strada verso una Chiesa più aperta alle novità della società, come lo è stata durante il mandato del Papa venuto dalla “fine del mondo”.
Ieri mattina, quando abbiamo appreso della sua scomparsa, quando la Morte è sopraggiunta non solo prima ma anche dopo la Resurrezione, con un simbolismo pasquale che lascia attoniti, ci siamo sentiti tutti più soli. Anche questo giornale, fondato da un garibaldino, un giornale laico e progressista per tradizione e per frequentazione. Perché Francesco è stato forse più apprezzato dagli atei che dai credenti, e certamente è stato meno osteggiato dagli atei che dalla fronda “vandeana” interna alla Chiesa per la quale era un nemico, un corruttore dei valori cristiani.
Ci siamo sentiti più soli perché, nel decennio di Putin e di Trump, dell’indifferenza verso le stragi dei migranti e verso le bombe sui civili, degli egoismi e dei particolarismi, del celodurismo e del menefreghismo, Francesco ogni giorno ha rappresentato una proposta alternativa. La nostra coscienza che ci sussurra all’orecchio – come fosse un Grillo Parlante – che un’altra vita è possibile, che perlomeno un’altra vita è sperabile. Una voce fuori dal coro mainstream, a volte sgradita, urticante: come quando, durante la prima salita ad Assisi dal suo “Poverello”, il 4 ottobre 2013, pronuncia un’omelia durissima per condannare la morte di 368 migranti nelle acque di Lampedusa: «Vergogna! Questa vergogna» dice, è anche colpa nostra.
Che sia stato un Papa a suo modo “rivoluzionario” è acclarato. Alle pagine 8 e 9 abbiamo voluto riassumere, in un unico colpo d’occhio, le svolte che ha impresso al corso della storia del rapporto tra la Chiesa e la società. Parole ma soprattutto gesti. Il primo viaggio da pontefice, fra i migranti di Lampedusa. La lavanda dei piedi ai carcerati, anche donne, anche musulmane. L’apertura ai gay e sui diritti – su cui non ha voluto spingere per non provocare uno scisma. Il dialogo con i non credenti e con le altre confessioni. La condanna degli abusi sessuali dei religiosi. La contestazione delle elìte politiche, economiche e finanziarie. Anche la modifica del testo del Padre Nostro per renderlo più attuale e comprensibile.
I gesti, più che le parole. La scelta di non vivere nell’Appartamento apostolico riservato ai Papi ma in un residence, con delle suore. Di spostarsi con un’utilitaria. Di disertare le tronfie occasioni ufficiali. Di stare fuori dalla Curia romana, lui che pure amava definirsi “vescovo di Roma”. Quel “buonasera” che ci ha aperto il cuore il 13 marzo 2013 quando, appena eletto, si presentò al mondo dal balcone. Uno di noi.
Lo vogliamo ricordare con una foto, quella che è in questo articolo: lui che prega sulla tomba di don Lorenzo Milani a Barbiana. È una foto che ho scelto non solo perché riguarda la Toscana, ma per le analogie tra due figure che hanno scosso in profondità la Chiesa. Jorge Bergoglio e Lorenzo Milani, origini diverse – l’uno figlio di una famiglia di emigranti in un barrio argentino, l’altro di una agiata famiglia fiorentina – ma identici nell’intransigenza con cui hanno portato avanti l’identificazione con i bisogni dei più deboli. Il vecchio Papa, che prega chino sulla tomba e chiede perdono per la Chiesa dell’epoca che non capì che don Lorenzo era, come disse lui stesso, “cinquant’anni più avanti”. Questa lungimiranza profetica, quest’attenzione ai bisognosi, agli sfortunati, agli afflitti, ai poveri – senza la quale il mondo esploderà – è il lascito di Papa Francesco a tutti, credenti e non credentil
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