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Bulli e cyberbulli in Toscana: altri due episodi choc. Il parere dell’esperto: l’esempio che fa riflettere e l’importanza di un dialogo emozionale

di Federico Lazzotti

	Un momento della serie
Un momento della serie

Lo psicologo Nicola Artico: «Vietare i profili social sotto i 16 anni. Date regole ai figli, ma trattate. E quando tornano a casa da scuola… ». Intanto spopola “Adolescence”, la serie cult su Netflix

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Una ragazzina di sedici anni che prima offende l’ex compagna di classe su una chat di WhatsApp e poi va ad aspettarla fuori da scuola, la aggredisce e la prende a pugni riducendola a una maschera di sangue. È lunedì scorso (24 marzo) e siamo a Livorno, davanti a uno dei licei più frequentati della città. Tre giorni prima, a Pontedera, 34 chilometri di distanza, un ragazzino di 16 anni esplode un colpo di pistola (a salve per fortuna) nella zona intorno alla stazione. Dopodiché – probabilmente per fare lo sbruffone sui social e darsi delle arie con i cinque amici che erano con lui – tira fuori l’arma innescando il panico tra i passanti che chiamano la polizia.

Sono gli ultimi due episodi di violenza in Toscana finiti sul Tirreno che hanno come protagonisti gli adolescenti. In queste due storie, apparentemente piccole, di periferia rispetto al mondo, si nasconde un universo complesso, pericoloso e in continua evoluzione. Quello che mischia social, violenze, disagio, dolore, bullismo e cyberbullismo. Quello in cui si muovono tutti i giorni figli e figlie in età scolare e nel quale spesso affondano i grandi in età non solo genitoriale.

I dati

Che il rapporto tra social e violenza sia sempre più stretto lo dicono i dati. L’ultimo rapporto Unesco racconta che nel mondo uno studente su tre ha subito aggressioni fisiche nel 2024. In Toscana, per adesso, va discretamente meglio. Ma il fenomeno è in crescita. Secondo l’“Indagine 2022 – Bullismo e cyberbullismo” dell’ultimo rapporto disponibile dell’HBSC, Health Behaviour in School-aged Children (comportamenti correlati con la salute nei bambini in età scolare) dell’Istituto superiore di sanità, in Toscana tra i ragazzini e le ragazzine di 11, 13 e 15 anni il 13,2% ha subito atti di bullismo e il 12,2% ha subito atti di cyberbullismo. Percentuali inferiori a quelle a livello nazionale, che si attestano rispettivamente al 14, 3% e al 14,1%. Tra i giovani e le giovani di 17 anni le percentuali scendono al 6,3% per bullismo e al 6,4% per cyberbullismo. Più nel dettaglio, nei giovanissimi di 11, 13 e 15 anni che hanno subito bullismo l’8% dichiara che è capitato una o due volte in tutto, il 2,7% che gli capita una o due volte al mese, l’1% una volta a settimana e l’1,5% più volte a settimana. Per il cyberbullismo, le percentuali sono 8,7% una o due volte nella vita, 2% una o due volte al mese, 0,6% una volta a settimana e 0,9% più di una volta a settimana.

L’indagine evidenzia che il fenomeno è socialmente democratico: colpisce famiglie benestanti come famiglie povere. Addirittura, nella fascia 11, 13 e 15 anni, in quelle meno abbienti i bulli sono il 15% e i cyberbulli il 13%, mentre nelle famiglie benestanti la percentuale di bulli è del 16% e quella dei cyberbulli del 14%.

La rappresentazione

Oltre i numeri ci sono la realtà e la sua trasposizione. L’ultima è quella raccontata da “Adolescence”, la serie cult uscita di recente su Netflix: il lupo nero che si avvicina alle nostre vite sfruttando il buio di esistenze frenetiche. Spesso distratte o isolate. Che bussa alla finestra dell’inconscio, attraverso la tv, senza avvisare. E poi resta a guardarti in silenzio. E adesso: che si fa? Così scoperchia con crudezza, i nervi scoperti di genitori e di figli. Per questo, dopo averlo guardato, ti resta addosso un senso di disagio e smarrimento. Ma anche uno spunto di riflessione.

Come spiega Nicola Artico, psicologo e direttore dell’Unità operativa Psicologia dell’Asl Toscana Nord Ovest. «Questa serie ci colpisce – spiega – perché parla di noi, dei nostri timori, dei nostri limiti, parla delle difficoltà dei genitori nella visione più attuale. Quando si parla dell’inconscio, si parla sempre di quello degli altri, mai del nostro. Invece questa serie ci costringe a fare i conti proprio con il nostro inconscio».

Realtà e fiction

Mettendo insieme i recenti fatti di cronaca e il successo della serie è possibile farsi delle domande e cercare di darsi delle risposte mettendosi nei panni sia dei giovani che dei genitori. «L’adolescenza – è la premessa di Artico – viene da adolescere, crescere. Quindi la domanda è: “Come accompagnarli nella crescita dove tutto è nuovo?”. E la prima cosa da tenere a mente è la loro mente, che abbiano 4 o 14 anni. Interessarsi delle loro cose. Questa capacità si chiama funzione riflessiva. Gli adulti ce l’hanno tanto sviluppata quanto più i genitori l’hanno avuta. Ma non vi preoccupate, si può allenare anche in chi pensa di poter educare dicendo: “Qui si fa come dico io”, come si faceva trent’anni fa».

Ovviamente i social hanno creato ancora maggiori difficoltà. Per spiegare i rischi Artico fa un esempio concreto. «Molti genitori per timore che possa accadere qualcosa ai loro figli li accompagnano al cinema oppure a scuola in auto, ma poi succede che permettono agli stessi figli di stare ore sui social da soli. Non vi pare strano? Eppure, vi garantisco che quella è una giungla piena di predatori in una gabbia di polli. Ecco perché, anche se so che questa mia proposta sarà molto impopolare, farei come in Australia: vietare l’uso dei social fino ai sedici anni».

Non a caso la generazione Z è la più competente sul piano digitale ma è anche la più esposta. Anche alla violenza generata da un cuoricino o da un “mi piace” non messo. «Pensate alla mente dei giovani come a una parete. A sinistra mettiamo istinti ed emozioni che hanno una risposta poco mediata e a destra il comportamento. Gli adulti devono lavorare per allargare lo spazio che separa queste due zone: qui c’è il pensiero. Più il contesto è sano più l’intercapedine è ampia».

Il dialogo emozionale

È ovvio che non esistono ricette. «I consigli si danno per gli acquisti. Ed è una categoria che noi aborriamo», taglia corto Artico. Ma qualcosa si può fare. «Il dialogo emozionale è una delle chiavi. Quando tornano a casa da scuola, non basta dire: “Com’è andata?” per farsi rispondere: “Bene”, “Benino”. Bisogna cercare di essere curiosi della loro vita per come è per loro, senza essere morbosi. Serve un mix di affettività e regole, in cui i genitori devono, a seconda dell’età del figlio, essere pronti a patteggiare e mediare. Magari condividendo questo con gli altri padri/madri per creare una comunità educante. Faccio un esempio: se chiedi a un bambino in Ucraina perché ci sono delle regole, ti risponderà per proteggerti. Se la stessa domanda la fai un coetaneo livornese non risponderà allo stesso modo».

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