Il Tirreno

Toscana

di Claudio Vecoli

I dazi di Trump rischiano di fare molto male alla Toscana: 9,1 miliardi di export a rischio


	Tra i settori più colpiti quello del vino, a destra Nicola Scilcone (direttore Irpet)
Tra i settori più colpiti quello del vino, a destra Nicola Scilcone (direttore Irpet)

L'analisi di Nicola Sciclone (Irpet): settori a rischio e possibili strategie di fronte alla minaccia dei dazi

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In ballo, per la Toscana, ci sono 9,1 miliardi di euro. Tanto, infatti, pesa sulla bilancia commerciale regionale la voce “export” verso gli Stati Uniti. Dai quali, a nostra volta, importiamo merci per 5,9 miliardi di valore. Insomma, la guerra dei dazi rischia di diventare una bomba economica per le imprese toscane. Anche se, al momento, le minacce di Trump sono solo sulla carta. Nicola Sciclone, direttore di Irpet (l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana), è dunque estremamente cauto nell’analizzare le eventuali ricadute che l’imposizione di dazi all’Italia potrebbero comportare per la nostra regione.

Direttore, quanto incidono gli Stati Uniti sull’economia della Toscana?

«Secondo gli ultimi dati in nostro possesso siamo sull’ordine del 16 per cento del totale delle esportazioni. Quindi una fetta importante della nostra bilancia commerciale regionale. Naturalmente ci sono settori più esposti nei confronti dei quali l’imposizione di dazi da parte degli Stati Uniti potrebbe avere conseguenze più nefaste. Penso ad esempio alla farmaceutica e alla chimica, ma anche all’elettromeccanica, all’industria alimentare e delle bevande, ma anche a settori come la concia e il cuoio, la gioielleria o le calzature. E non ci sono soltanto le esportazioni dirette…»

Ovvero?

«C’è un’altra fetta importante dell’economia toscana che dipende dagli Stati Uniti. Nella nostra regione abbiamo infatti molte aziende che producono componenti per altri paesi europei – e penso soprattutto a Francia e Germania – che poi, una volta assemblati in prodotti finiti, vengono esportati oltreoceano. E che dunque subirebbero contraccolpi negativi dall’introduzione di dazi».

Con quali conseguenze?

«Al momento è impossibile fare previsioni. Intanto bisogna capire bene verso quali merci verrebbero introdotti questi dazi e per quanto tempo. E soprattutto in che misura. È chiaro che imposte del 5-10 per cento avrebbero conseguenze ben diverse da dazi del 25 per cento come quelli ventilati per alcuni stati extraeuropei. Insomma, per ora ci troviamo di fronte ad una politica degli annunci che non è chiaro dove potrà portare».

Ritiene che gli Stati Uniti andranno fino in fondo con questa politica protezionistica?

«L’auspicio è che Trump utilizzi questa minaccia come leva per ottenere altro. Ad esempio per far sì che l’Europa, e dunque anche l’Italia, acquisti più gas o petrolio dagli Stati Uniti. Insomma, potrebbe essere una mossa che mira ad altro. Anche perché alla lunga la politica dei dazi può ripercuotersi contro la stessa economia americana».

In che modo?

«Intanto perché, come già è stato ventilato da altri stati, analoghi dazi potrebbero essere applicati sulle merci che arrivano dagli Stati Uniti. E questo comporterebbe problemi anche per l’economia Usa. Inoltre una guerra dei dazi innescherebbe un aumento generalizzato dei prezzi che potrebbe avere riflessi molto negativi sulla crescita mondiale».

Quindi la bomba dazi potrebbe essere almeno parzialmente disinnescata dallo stesso Trump?

«Se la razionalità fosse il criterio che guida le politiche economiche degli Stati Uniti, mi verrebbe da rispondere di sì. Ma non so se con Trump al potere questo sia il criterio principale che verrà adottato».

Cosa possiamo fare?

«In primo luogo cercare di diversificare i mercati di sbocco delle nostre esportazioni. Cioè fare scendere la percentuale del nostro export verso gli Usa ma alzarla verso altri paesi, meglio sarebbe all’interno dell’Europa. Più facile a dirsi che a farsi; più facile a farsi con prodotti di qualità e/o di eccellenza, meno con prodotti più facilmente sostituibili e quindi acquistabili anche altrove oltre che in Italia».

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