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Giorgio Pomara, il chirurgo-robot: i tumori trattati, l’uso delle console e i vantaggi per i pazienti

di Cristiano Marcacci

	Giorgio Pomara
Giorgio Pomara

L’urologo di Cisanello ha archiviato la chirurgia tradizionale: «Così rimuoviamo i tumori anche su pazienti fragili e casi d’urgenza». Ecco l’annuncio dell’attribuzione all’unità operativa da lui diretta del Bollino Arancione da parte della Società Italiana di Urologia

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Lui e il robot si danno ormai del tu. L’uno non può fare a meno dell’altro, e viceversa. Lui è il dottor Giorgio Pomara, direttore dell’unità operativa di Urologia 2 dell’Azienda ospedaliero-universitaria pisana a Cisanello, il robot si chiama “da Vinci Xi” e rappresenta l’ultima evoluzione della chirurgia mini invasiva, successiva alla laparoscopia, in cui il chirurgo non opera con le proprie mani ma manovra un robot a distanza, rimanendo seduto a una console posta all’interno della sala operatoria. Il sistema computerizzato trasforma il movimento delle mani in impulsi che vengono convogliati alle braccia robotiche e, tra i numerosi vantaggi, consente una visione in 3D con un ingrandimento fino a dieci volte, l’eliminazione del fisiologico tremore delle mani del chirurgo e di eventuali movimenti involontari.

Dottor Pomara, è di pochi giorni fa l’annuncio dell’attribuzione all’unità operativa da lei diretta del Bollino Arancione da parte della Società Italiana di Urologia. Di che si tratta?

«In pratica siamo stati riconosciuti quale centro urologico di riferimento italiano per le terapie d’avanguardia nel trattamento del tumore al rene. Il riconoscimento è stato attribuito grazie al possesso di una serie di requisiti, in termini di percorsi diagnostico-terapeutici e di servizi al paziente con tumore del rene, valutati da un comitato Siu che ha coinvolto anche radiologi, anatomo-patologi e oncologi nello spirito di un approccio multidisciplinare e sulla base delle migliori evidenze scientifiche e delle più recenti linee guida internazionali. Prima di quello arancione era già arrivato a Pisa (all’Azienda ospedaliero-universitaria nel suo complesso) il Bollino Azzurro della Fondazione Onda, con cui si contrassegnano come di alta qualità i servizi clinico-assistenziali dedicati al tumore alla prostata».

In quali percentuali gli interventi chirurgici vedono ora protagonista il robot?

«È fin troppo facile rispondere. Attualmente, siamo al cento per cento. Ultimamente, infatti, abbiamo compiuto una scelta altamente innovativa con cui siamo riusciti a trasformare tutta la chirurgia tradizionale in chirurgia mini invasiva robotica. Nonostante i nove posti letto ordinari che abbiamo a disposizione, nel corso dell’anno che si è chiuso da poche settimane gli interventi eseguiti su rene, prostata e vescica sono stati ben 350. Un risultato raggiunto grazie a un sistema ben oliato alla cui base c’è un’attentissima programmazione chirurgica che cerca sempre di ottimizzare spazi e risorse. Insomma, otteniamo il massimo risultato con il minimo delle risorse. Non solo per la struttura ma anche per il paziente».

In che senso?

«Nel senso che i pazienti affrontano meglio l’operazione, ci sono meno complicanze e il decorso post operatorio è molto più rapido. In sostanza, gli stessi pazienti tornano a casa prima rispetto a quanto succedeva prima. E poi, aspetto importantissimo, il lavoro è sempre all’insegna dell’interdisciplinarietà. In questo siamo tra i pochi in Italia e siamo stati i primi al mondo. Mi ricordo, ad esempio, nel 2022, quando, già utilizzando il robot, intervenimmo per una nefrectomia radicale (l’asportazione di un rene, ndr) con trombo tumorale fino al cuore. In sala operatoria c’erano il chirurgo generale, il cardiochirurgo e gli anestesisti e gli infermieri dedicati alla chirurgia robotica».

Attualmente lei opera esclusivamente con il robot?

«Sì. Per tutti i pazienti, compresi i “fragili” e i casi d’urgenza, non mi muovo dalla console. Le complicanze sono alla soglia minima ed è un gran bene soprattutto per gli anziani. In questo modo sono stati ridotti di parecchio i sanguinamenti ed è un particolare non di poco conto. Per quanto riguarda, ad esempio, la chirurgia demolitiva vescicale siamo passati da una degenza tra i 10 e i 14 giorni della chirurgia tradizionale ai 7-10 giorni della chirurgia robotica, e questo grazie proprio ai minori sanguinamenti. Per l’aspetto del risparmio di sangue siamo anche il centro di riferimento per i Testimoni di Geova».

Con il robot presente stabilmente in sala operatoria com’è cambiato l’approccio alla chirurgia da parte degli specialisti?

«Innanzitutto il chirurgo “tuttologo” non dovrebbe esistere più. La maggior parte dei casi che finiscono in sala operatoria dovrebbe coinvolgere, quando necessario, altri specialisti. Il nostro segreto è appunto la grande collaborazione esistente, unita a umiltà e rispetto reciproco. Io lavoro sempre in collegamento con il dottor Piero Lippolis, direttore del Dipartimento e della Chirurgia generale e peritoneale, e con il dottor Piero Buccianti, direttore della Chirurgia generale Ssn».

Le patologie oncologiche sono in aumento?

«La nostra lista d’attesa è medio-lunga e la domanda è aumentata. Ma non perché i tumori siano in crescita. C’è, per fortuna, un aumento delle diagnosi tempestive e precoci. Esiste più attenzione di una volta, vengono organizzati più screening. Oggi, l’uomo si fa visitare al pari delle donne. Prima non succedeva».

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