Cellulare in classe, distrazione o strumento per la didattica? Cosa ne pensano i presidi toscani
Dopo il "caso Livorno", in Toscana si allarga il fronte dei dirigenti scolastici favorevoli all’uso dello smartphone in aula. Ma soltanto alle superiori
Da male assoluto e minaccia di distrazione per gli studenti a strumento didattico di cui avvalersi in modo mirato, equilibrato e consapevole. È la rivoluzione copernicana sull’uso del cellulare in classe a cui sono chiamate le scuole superiori, per non perdere in partenza la sfida del digitale e soprattutto del contatto con le nuove generazioni di alunni. Una sfida che alcuni istituti stanno cogliendo al balzo, a partire dal caso del Vespucci-Colombo di Livorno (tecnico economico, liceo artistico e professionale), dove dal prossimo anno scolastico, grazie ad una modifica apportata al regolamento d’istituto, anziché tenere il cellulare spento nello zaino lo si potrà utilizzare come ausilio durante la lezione, purché ciò sia ritenuto funzionale dall’insegnante.
Per gli studenti con disabilità e percorsi scolastici personalizzati, l’uso del cellulare per la didattica è già pacifico. Il punto però è estendere questa possibilità, contemplata anche dal ministero dell’istruzione. Alessandro Artini, presidente della sezione toscana dell’Associazione nazionale presidi (Anp), parte da una premessa sul grado scolastico. «Le circolari – spiega – prevedono un divieto generale dell’uso del cellulare fino alle medie comprese, con le dovute eccezioni relative ai disturbi dell’apprendimento. Ad esempio ci sono dei ragazzi dislessici che potrebbero trarre vantaggio da alcune app che fotografano una pagina di un libro e poi la leggono. Per le superiori non sono affatto contrario all’uso didattico del cellulare: una decina di anni fa ho introdotto nella mia scuola il dibattito a squadre come modalità di affrontare temi e prima del confronto davo tempo ai ragazzi di cercare le fonti tramite cellulare e altri device. Quello che dovrebbe essere evitato o limitato è l’uso dei cellulari come strumento egemonico di comunicazione e relazione con gli altri».
Infatti, per elementari e medie, la posizione di Artini è molto più “ferma”. «C’è una convergenza scientifica in ambito psicologico e neurologico – argomenta il rappresentante dei dirigenti – che dimostra come l’uso precoce del cellulare sia fautore di disturbi. Di questo la scuola dev’essere consapevole, dopodiché fare battaglie luddiste non ha senso, ma è importante affrontare la questione in termini educativi e rendere consapevoli i più piccoli. Molto sta alle singole scuole e al collegio dei docenti. E sicuramente vanno coinvolte le famiglie».
Tentativi come quello dell’istituto Vespucci-Colombo, sempre limitando il campo alle superiori, vengono visti di buon occhio anche dal professor Roberto Mugnai, dirigente del polo liceale Pietro Aldi di Grosseto e vicepresidente nazionale del sindacato Dirigenti scuola. «In questo modo la scuola lancia il messaggio che il cellulare, sotto la regia dei docenti, può e dev’essere uno strumento finalizzato anche ad ampliare la conoscenza. È un insegnamento costruttivo che va nella direzione di una didattica attiva, in cui lo studente è protagonista perché utilizza lo strumento e condivide dei riscontri. Non parliamo di un uso massivo, ma limitato e consapevole: non è nascondendosi dietro la proibizione che si ottiene un risultato».
Per Mugnai un aspetto importante attiene alla consultazione e valutazione delle fonti, perché «trovare le informazioni in rete non basta ma vanno anche selezionate le fonti e questo la scuola lo deve saper fare. Così come nell’ambito dell’intelligenza artificiale è importante capire come porre le giuste richieste a ChatGpt. È una competenza che i cittadini del futuro dovranno avere. Va da sé che la formazione dei docenti sul digitale è indispensabile».