Il Tirreno

Toscana

La riflessione

Un Giorno solo non basta, la Memoria resti sempre

Anouk Travaglini*

	Fotografia artistica realizzata da Luca Scaglione, professore del liceo XXV Aprile di Ponteder
Fotografia artistica realizzata da Luca Scaglione, professore del liceo XXV Aprile di Ponteder

Conflitti, stragi, prevaricazioni e discriminazioni continuano: la Storia ci manda segnali, ma noi ci giriamo dall’altra parte

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Ogni 27 gennaio ci impegniamo a ricordare la storia, nel Giorno della Memoria. Ma forse non ci proviamo abbastanza. Ed ecco che la storia continua a ripetersi inesorabilmente, senza tralasciare nemmeno uno spiraglio di luce in lontananza. Perché, alla fine, le discriminazioni, le guerre e gli stermini ci sono sempre stati. Fin dall’antica Grecia il nemico veniva identificato con il termine “barbaros”, parola onomatopeica per intendere la mancanza di cultura dei popoli stranieri, in cui l’ignoranza si caratterizzava con la non conoscenza della lingua greca e perciò veniva affibbiato loro il titolo di balbuziente, che poi andrà a contrassegnare senza distinzione tutti quei popoli ritenuti arretrati. A Roma lo straniero era il “novum”, una novità, sì, ma terribile e angosciosa, sconosciuta e per questo da temere.

Nel Medioevo gli ebrei venivano perseguitati per motivazioni apparentemente inesistenti, che ricadevano in ogni caso nella colpa di aver determinato l’uccisione di Cristo, ma che, più probabilmente, erano legate all’ingente guadagno che avevano ricavato dall’usura. Alle porte della Grande Guerra un’onda di nazionalismo si diramò in tutta Europa, le regioni dell’est puntavano al panslavismo, l’unificazione dei territori slavi. Ma quel sano patriottismo subito degenerò in un senso di superiorità rispetto alle altre popolazioni, che, come sappiamo, contribuì a vedere la guerra come “sola igiene del mondo”, come riteneva Marinetti, massimo esponente del Futurismo. Deluse le aspirazioni irredentiste degli italiani, privati dei territori di Trento e Trieste, che, a detta loro, gli spettavano, ci pensò il caro D’Annunzio a “dare a Cesare quel che è di Cesare”. Così l’abruzzese prese Fiume senza il minimo sforzo e si sviluppò un senso di superiorità rispetto agli slavi, purtroppo molto simile alle idee razziste.

La politica estera di Mussolini lo portò in Etiopia, dove fece strage di civili, non destando troppo il disappunto di Inghilterra e Francia, più interessate dalla crescente ascesa al potere di Hitler. I colonizzatori italiani fecero del loro meglio per sterminare la popolazione e ritenerla inferiore per il livello culturale. Joseph Conrad documentò nel suo romanzo “Heart of darkness”, “Cuore di tenebra”, le atrocità che avvenivano in Congo, come sfruttamento dei nativi ed eventuale uccisione o morte per le malsane condizioni in cui vivevano.

La corrente filosofica del Positivismo insegnava a tutta Europa durante l’Ottocento che nella miglior forma di governo, la sociocrazia, i cosiddetti “parassiti” dovevano essere eliminati, perché ininfluenti rispetto al progresso della società. Eppure tutto questo non somiglia per niente all’idea di uomo nuovo che aveva Marx, che differiva dal capitalista per l’interesse nei rapporti umani; o alla solidarietà che predicava Seneca nelle sue “Epistulae”: già nel primo secolo dopo Cristo aveva compreso che siamo tutti uguali, persino gli schiavi andavano trattati con rispetto, come vorremmo che un superiore ci trattasse, perché siamo come parti di un unico corpo, come pietre che sostengono una volta.

Anche George Orwell ci avvertiva, proiettandoci in una distopica realtà di guerra e dittatura, in cui ogni forma di amore e affetto è severamente vietata e viene condannata.

La storia continua a mandarci segnali, a raccomandarci di stare attenti e a non farla ripetere. Ma noi ci giriamo dall’altra parte e tuttora continuiamo ad assistere a guerre e stragi e violenze ingiustificate, che fanno aleggiare belle parole e nobili valori, rendendo degni di attenzione solo interessi concreti che non valgono milioni di vite. Allora ha un’utilità molto limitata questo giorno, questo solo giorno in cui ci preoccupiamo di ricordare innocenti vittime per far sì che questo non accada di nuovo, o avremo infinite volte lo stesso risultato e ogni epoca avrà le sue scarpe sulle rive del Danubio, come la scultura emblematica a Budapest.


 *Studentessa di 18 anni del liceo classico Carducci di Viareggio

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