Il Tirreno

Toscana

L’intervista

Allarme criminalità tra i minori, la psichiatra: il bullismo “verticale”, i rischi sottovalutati e l’invito ai genitori

di Lorenzo Carducci

	A destra Lavinia Rossi
A destra Lavinia Rossi

La dottoressa Lavinia Rossi: «Talvolta le femmine sono più crudeli dei maschi»

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La criminalità minorile, il bullismo e le baby gang sono fenomeni complessi, con mille sfaccettature. E riguardando ragazzi e ragazze ciascuno con la propria personalità, il proprio contesto familiare ed educativo, generalizzare diventa difficile. Ma tenere accesa la lampadina è imprescindibile. Lo conferma la dottoressa Lavinia Rossi, psichiatra e psicoterapeuta attiva a Lucca, Viareggio e Pisa.

Dottoressa, come si presenta oggi il bullismo?

«I comportamenti volti a prendere di mira i coetanei più fragili, sia verbalmente con insulti, minacce o estorsioni di denaro che con azioni fisiche, si diffondono soprattutto in ambito scolastico e parascolastico, già dagli ultimi anni delle elementari per poi aggravarsi alle medie e alle superiori. Mentre prima tendenzialmente c’era un bullo, una vittima e gli spettatori, adesso gli spettatori sono spesso cooperanti coi bulli. Si distinguono molte tipologie di bulli, quello dominante, il gregario che si allea coi più forti per farsi accettare, il proattivo che collabora e il reattivo, caratterizzato da alta impulsività e scarsa tolleranza».

È così che si formano le baby gang?

«Forse sarebbe meglio chiamarle teen gang, perché si tratta di ragazzi e ragazze dai 13 anni in su, anche per la maggiore permissività dei genitori che li fanno uscire da soli. In ogni caso è un fenomeno non solo maschile ma anche femminile. Alla base c’è la logica del branco e la vittimizzazione del diverso, ma anche episodi di microcriminalità come piccoli furti. Ci sono casi in cui le femmine scimmiottano gli stereotipi mascolini, ripetendo comportamenti omofobi o screditando i coetanei che ad esempio non si vestono come dicono loro. Talvolta le femmine sono più crudeli dei maschi».

E il cyberbullismo?

«I cellulari hanno cambiato tutto, le nuove generazioni di bulli sono native digitali. In più c’è l’effetto della pandemia, in cui lo smartphone ha fatto da imbonitore sociale: ha attutito nei ragazzi il disagio di dover stare in casa, producendo però diversi effetti negativi tra cui il peggioramento delle competenze relazionali. Il cyberbullismo sta preoccupando molto, dal metodo delle fake news tramite la diffusione nelle chat di voci false riguardanti colui o colei che si vuole danneggiare, a forme più perverse di cyberstalking o addirittura il revenge porn. Tutte forme che si sono espanse dalla pandemia».

Vietare l’uso del cellulare può ridurre i rischi o rischia di essere controproducente?

«Sicuramente può aiutare, specialmente durante la notte. I divieti assoluti però spesso non attecchiscono e il genitore iperprotettivo, che definisco “aspirapolvere”, a volte sortisce l’effetto contrario».

Quanto è importante analizzare il contesto familiare dei ragazzi più volenti?

«Comprendere lo stile educativo delle famiglie da cui provengono è fondamentale, perché spesso il minore assorbe ciò che vive in casa. Con la dottoressa Giovanna Bellini abbiamo coniato l’espressione “bullismo verticale”, quel fenomeno per il quale il ragazzo o la ragazza ripropone il modello violento che ha subito in prima persona dai genitori o dagli adulti che lo o la circondano».

Nelle scuole si fa abbastanza per prevenire questi episodi?

«In certi plessi si porta avanti il programma empatizzando poco, così ci si accorge meno dei problemi. Starebbe agli insegnanti, magari designati ogni anno a rotazione, concentrarsi sulle situazioni più critiche della classe. Tanti ragazzi non hanno idea delle conseguenze penali che possono avere le loro azioni, ma prima servirebbe un’educazione all’empatia, al rispetto dell’altro, alle differenze. Al contempo nelle scuole sul tema della violenza ho trovato tanta attenzione. E negli ultimi tempi ho riscontrato la tendenza dei ragazzi a spegnere il telefono per parlare alle sedute, senza tenerlo sul tavolo come un’arma. Non sono tutti dei mostri». 

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