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Il 50enne Matteo Renzi vuol farsi un regalo: «Un centro guastafeste per sorelle della Garbatella»

di Mario Neri

	Matteo Renzi
Matteo Renzi

Firenze, la festa dell’ex rottamatore: in duemila persone hanno riempito il teatro per “Next”. Il nostro racconto

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FIRENZE. Si dice che a cinquant’anni si diventi davvero grandi, eppure Matteo Renzi ha soffiato sulle candeline della torta gigante con un’idea in testa spericolata, roba da adolescente irriverente, sognante e sempre contro, un po’ da giovane Holden della politica: costruire un «centro forte che farà vincere il centrosinistra» e allo stesso tempo fare il guastafeste per le «sorelle della Garbatella», l’anti-premier, controcorrente, nemico del politically correct e della narrazione a «reti unificate» di cui siamo tutti vittime, opposizione e giornali compresi, quello che non si piega a Telemeloni e racconta verità scomode, quello che «i media non vi dicono», perché «no Giorgia, non siamo sudditi, noi non ci metti a cuccia».

Insomma il fu rottamatore, l’ex premier, l’ex sindaco, l’ex presidente della Provincia, l’ex partecipante alla Ruota della Fortuna, «un ex tutto», prova ad andare Next. «È una rinascita», dice babbo Renzi, Tiziano, entrando in sala. Ci sono Agnese e i figli, Francesco, Emanuele e Ester. Erano bambini alla prima Leopolda. Ora son tutti maggiorenni. Ci sono le truppe e sono scampoli del renzismo che fu. C’è il passato e il presente. Ma lui guarda ancora al futuro e alla sua prossima vita dal teatro Cartiere Carrara di Firenze. Anche stavolta l’ha riempito, duemila persone. E anche se senza grandi scossoni, niente nuovi partiti, nuove alleanze o mitologiche mosse del cavallo, promette «una svolta» e una metamorfosi personale dal coefficiente di difficoltà altissimo: diventare il Giamburrasca del centrosinistra, allergico al mainstream e allo strapotere meloniano, farsi capo dialettico dell’opposizione che non le manda a dire a nessuno (non alla premier ma neppure ai potenti e alla stampa, di cui non è più il pupillo prediletto) e allo stesso tempo piacere ai moderati del Paese.

Insomma, una specie di fusione fra Goku e Vegeta, fra De Gasperi e Pannella: vuole acchiappare la prateria di consensi del centro con un registro radicale. «Accidenti se stiamo nel centrosinistra. Sembra che sia lui il segretario del Pd, hai sentito come le canta alla Meloni», confessa un dirigente fiorentino di Italia Viva mentre Matteo è sul palco che concede selfie, balla e mangia il gelato dopo aver rivelato con grande gusto che il finanziatore della convention e del pranzo a base di pappa al pomodoro e ragù di cinta senese «è Marco Travaglio, perché dopo averci diffamato ora ci sfama».

Certo, sono sempre grandi show i discorsi renziani, conditi di piccoli colpi di scena, vedi il nuovo libro “L’influencer” (in arrivo il 18 marzo ma già prenotabile su Amazon: protagonista, ça va sans dire, Giorgia), citazioni colte, voli pindarici e arguzie, momenti di sarcasmo fulminante, ma pure di brutale realismo.

Si sente ancora in pista, Matteo, soprattutto ora che è arrivato il proscioglimento dall’«inchiesta farlocca e vergognosa di Open», ma sa di non avere ancora di fronte quella prateria, così guarda alle prossime elezioni politiche convinto che Meloni e la destra siano «preoccupati che quel 2-3 per cento» che «fra due anni sarà decisivo». E no, il suo partito non è superato, «certo che sopravviverà», di quel centro «siamo la colonna portante, non vedete quanta gente c’è», confida a Il Tirreno. Insomma, sogna ancora di farsi ago della bilancia. Non ci ha rinunciato.

Ma servono anche alleati non ostili. Non un caso che Renzi riservi solo una battuta innocua a Conte e neppure un frizzo o un lazzo a Elly Schlein. È finita però la fase zen, torna all’arrembaggio. Anche senza esercito. «Italia Viva dovrà farsi vivaio». Poco importa che la truppa parlamentare italovivista sia sparuta, in tutto 14: passano Bonifazi, Boschi, Scalfarotto, Giachetti, eccoli i big. Poi i fedelissimi come Marzia Cappelli, la pasionaria, Massimo Mattei, Francesco Grazzini, Francesco Casini. E ovvio, Stefania Saccardi. In platea tanti over 70, pochi giovani. Eppure sale sul palco sulle note di Forever Young. Vecchi sarete voi, lui ha l’estate addosso, camicia a righe e pantaloni bianchi, pare arrivi da Forte dei Marmi, è il suo compleanno non l’inizio del suo inverno politico. Ne dice di tutte a Salvini: «Un disastro i treni bloccati, porta sfiga o è incapace? Oggi ho avuto la risposta: tutte e due. Un appello a Meloni: gli dia un altro ministero».

E pensare che si sente «lieto e grato». Quando scende suona Careless whisper, sospiro incurante. Anche se gli brucia e parecchio la norma «ad personam» con cui Meloni lo ha voluto «colpire», quella che tassa le conferenze arabe tirata fuori «nottetempo». E pure che lo abbiano bandito da certi talk (citofonare a Porro).

S’è messo in modalità attacco, quasi volesse dimostrare d’essere l’unico capace di scalfire la narrazione di Palazzo Chigi, secondo cui Meloni sarebbe invincibile sebbene «non sia la leader più forte degli ultimi 30 anni» (elenca i risultati elettorali e indovinate chi ha raggiunto la percentuale più alta?). Dice che «solo in Italia e in Corea del Nord c’è il capo del governo con la sorella che si occupa del partito». Che la premier usa un «metodo: chi le si mette contro viene schiacciato», che è «come se vivessimo in un incantesimo, nessuno osa criticare Giorgia», chi lo fa «finisce nel quaderno dei cattivi» e ora c’è «bisogno di qualcuno pazzo, che ha una certa età, che dica che noi a questo sistema non ci stiamo». E se qualcuno pensava che il renzismo fosse defunto se lo scordi, «siamo sempre qua, siamo tornati in campo, non accettiamo l’incantesimo di un’opposizione addormentata e di un’informazione che si occupa di formiche».

È una strategia, fa il duro per smussare gli angoli nella coalizione, per farsi inglobare e accettare pure da chi finora non l’ha digerito, da Conte alla Sinistra. Lui costruisce il centro. Barricadero contro la destra, calmieratore del centrosinistra. Almeno fino alla prossima Leopolda. Appuntamento il 3,4,5 ottobre. Quindici anni dopo. Prossima fermata, Renzi. Next, non un ex.

 

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