Apocalisse dentro l’Eni: due morti e tre dispersi. Il boato, l'esplosione, le ustioni: «Ho freddo, non sento nulla»
Strage di lavoratori nel deposito di Calenzano, decine di feriti: «Operai in fuga pieni di sangue, non dimenticheremo». La procura ha aperto un’inchiesta. L’ipotesi è una perdita durante le operazioni di carico dell’autobotte
CALENZANO. Un uomo nudo, con ustioni su tutto il corpo, la testa sanguinante e gli occhi terrorizzati di chi chiede salvezza, corre verso l’uscita del deposito Eni di Calenzano, stazione di arrivo dell’oleodotto, nel cuore industriale della Piana fiorentina, tra case e capannoni incastrati in mezzo alle autostrade A1 e A11, la ferrovia e il più frequentato centro commerciale toscano, I Gigli.
Alle sue spalle una colonna di fiamme e fumo, alta una ventina di metri, si sta mangiando le vite di due operai e tre autotrasportatori. Pochi istanti prima – secondo una prima ricostruzione – stavano caricando carburante nelle autobotti sotto una pensilina, una specie di distributore gigante, che si trova accanto allo stabile della direzione, dove lavorano decine di dipendenti. Poi qualcosa è andato storto.
Il supertestimone
Un supertestimone ha raccontato al procuratore capo di Prato Luca Tescaroli di aver assistito alla scena dal fabbricato che si trova proprio davanti al punto dell’esplosione e di aver notato «una perdita di liquido durante l’operazione di rifornimento di un’autocisterna». All’inizio ha pensato che fosse acqua, poi ha sentito «un forte odore di benzina» ed è scappato. Questione di attimi. Non ha fatto nemmeno in tempo ad avvertire chi si trovava accanto al camion e «tutto è saltato in aria».
L’apocalisse
È l’inizio di un’apocalisse innescata da un boato paragonabile a un terremoto di 1,5 della scala Richter che ha fatto tremare «due province». «Prima c’è stato uno spostamento d’aria, poi l’esplosione. Ho pensato che ci bombardassero, che fosse arrivata la guerra a Calenzano», ammette Sonia Grazzini, che intorno alle 10,15 si stava truccando in camera da letto, nella sua abitazione di via di Le Prata, finestre sul retro che guardano l’Eni. «Non ho mai avuto così tanta paura in vita mia», ammette guardando la vicina Elenka con cui, pochi istanti dopo, è fuggita in auto, insieme al cane, il più lontano possibile dall’inferno. Urla, vetri che si infrangono in mille pezzi, infissi che saltano dai cardini e crollano travolgendo tutto, porte blindate che si incrinano come carta velina e saracinesche che cedono.
Il bilancio
Il bilancio a fine giornata è tremendo: un morto identificato, Vincenzo Martinelli, 51 anni di Prato, e quattro operai per i quali non c’è speranza: Carmelo Corso, 56 anni, catanese di nascita ma residente nel fiorentino, Davide Baronti, 49, di Novara ma cresciuto a Livorno e residente a Bientina, Gerardo Pepe e Fabio Cirelli, 45 anni, entrambi lucani e dipendenti della ditta Sergen di Grumento Nova, in provincia di Potenza. I corpi, di tre vittime, saranno estratti dalle macerie questa mattina con una speciale gru per fare spazio tra i resti della pensilina crollata, mentre un altro è stato già recuperato, non ancora identificato. Ma ci sono anche 14 persone ricoverate, due delle quali gravemente ustionate.
I racconti
Racconta Alberto Lombardi che abita con la compagna Chiara a pochi metri dall’ingresso dello stabilimento, in un complesso «costruito nel 1700» e dove vivono anche i suoceri, i nonni della fidanzata e il fratello di quest’ultima. «Cinque minuti prima dell’esplosione ero seduto su questo divano – dice indicando davanti a sé la porta finestra che guarda l’Eni e che rientrando a casa ha trovato in mezzo al salotto dopo essere saltata dai cardini – se fossi stato qui non potrei raccontarle quello che ho visto». Il suo racconto mette i brividi. «Ero uscito di casa, poi quando ho sentito il boato sono tornato indietro perché inizialmente non si capiva che cosa bruciasse. Quando sono arrivato davanti all’ingresso dell’Eni ho assistito a una scena che non posso scordare: due operai stavano uscendo, uno indossava un giubbotto, l’altro era completamente nudo con ustioni su tutto il corpo e ripeteva: “Ho freddo, non sento nulla. Ho freddo, non sento nulla”. A quel punto gli ho dato il mio giaccone fino a quando non è arrivata l’ambulanza che lo ha coperto con una di quelle coperte termiche che hanno i soccorritori».
Il dopo
Il mondo intorno all’apocalisse di Calenzano si blocca: strade chiuse, treni bloccati, allerte sui telefonini a chi si avvicina alla zona. Chi ha guardato l’inferno di fuoco, fumo, morte e dolore da vicino non può dimenticare. «C’era gente che scappava urlando, c’era rumore di vetri che si infrangono e le auto parcheggiate lungo via Erbosa ricoperte da pezzi di gomma nera». Adesso sarà l’inchiesta aperta dalla procura a dover spiegare questa ennesima strage sul lavoro. Al momento non è stato chiarito da dove sia arrivata la perdita di carburante, se dal deposito interrato o dall’autocisterna. L’ultima ipotesi, in ogni caso, ha confermato che l’esplosione e l’incendio si sono scatenati alla pensilina dove c’è il bocchettone che viene attaccato alle autocisterne. Il come e il perché dovranno stabilirlo tre consulenti tecnici nominati dalla procura, uno esperto di incendi e due di esplosioni.
Al momento dello scoppio, nell’area adibita al rifornimento delle autocisterne che poi a loro volta riforniscono i distributori c’erano i cinque autisti di altrettante autobotti e due addetti alla manutenzione. All’arrivo il procuratore Tescaroli si è trovato di fronte a una scena di devastazione che gli ha ricordato le scene delle stragi di mafia, lui che di quelle stragi si è occupato in passato. Una delle due vittime presentava gravi ustioni e per identificarla è stato disposto il test del Dna, l’altra è stata colpita a distanza di alcune decine di metri da un grosso pezzo di metallo scagliato via dall’esplosione. È stato chiesto l’intervento dei tecnici di Arpat e del dipartimento di Prevenzione dell’Asl Toscana Centro per chiarire eventuali responsabilità legate alle norme sulla sicurezza sul lavoro e per monitorare la qualità dell’aria, che comunque nel pomeriggio non sembrava più dare preoccupazioni. I carabinieri del Nucleo investigativo hanno recuperato con una certa difficoltà le immagini delle telecamere di sicurezza in un edificio col tetto pericolante. Saranno quelle immagini a dire molto, se non tutto, di quello che è successo ieri mattina a Calenzano. In particolare sulla causa dell’innesco. La procura ha aperto un fascicolo ma il procuratore ha preferito non specificare l’ipotesi di reato, che è molto particolare e dunque potrebbe far capire la direzione presa dall’inchiesta. Questo significa che gli inquirenti hanno le idee già molto chiare.
IL BILANCIO: L’anno nero delle stragi sul lavoro
Cosa resta
Resta l’ennesima tragedia enorme che ha toccato anche il presidente della Repubblica Mattarella che ha telefonato al presidente della Regione Eugenio Giani: «Mi ha tempestivamente chiamato per informarsi su quanto accaduto e per esprimere con parole molto umane solidarietà e vicinanza a coloro che sono stati colpiti dal gravissimo evento e ai familiari delle vittime». Intanto la Cgil Toscana invita a partecipare alla manifestazione indetta da Cgil Firenze, Cisl Firenze Prato e Uil di Firenze per mercoledì 11 dicembre alle 11 in una area a Calenzano da definire, in occasione dello sciopero generale provinciale di 4 ore (fine turno). «In piazza per ribadire che la sicurezza sul lavoro deve stare al centro, servono più investimenti, politiche, controlli. Ogni giorno in Toscana e in Italia piangiamo morti o feriti sul lavoro e questa situazione non è degna di un Paese civile», dice la Cgil Toscana. Mercoledì 11 – ha annunciato il presidente Giani – sarà lutto regionale.