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Il parere

Follia dopo il rimprovero, lo psicologo ai genitori: «Non fate i sindacalisti dei figli». E suggerisce come usare le chat di classe

di Federico Lazzotti

	Il luogo dell'aggressione e Paolo Fuligni
Il luogo dell'aggressione e Paolo Fuligni

L’intervista a Paolo Fuligni dopo il dirigente d’azienda accoltellato a Lucca

27 novembre 2024
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Paolo Fuligni da 47 anni analizza la mente cercando risposte. Prima nella sanità pubblica occupandosi di tossicodipendenze, poi all’università di Pisa, al Cnr e infine nella libera professione, in particolare studiando la cultura della psicologia e la prevenzione.

Dottore, partiamo da quello che è successo a Lucca: due adolescenti vengono rimproverati perché stanno vandalizzando una staccionata e la reazione di uno dei due è di accoltellare la persona che li ha riprese.

«Tecnicamente la frustrazione genera aggressività. Il problema è che i giovani di oggi sono spesso ipersensibili e non sanno gestire e sopportare la frustrazione».

Perché questa difficoltà?

«I giovani non sono abituati alla frustrazione perché cerchiamo di evitarla. Guardiamo cosa accade con i voti scolastici. Verso un brutto voto c’è intolleranza».

Quindi come allenare i giovani?

«I genitori sono spesso iperprotettivi. Fanno i sindacalisti dei figli. E quindi non li allenano alla frustrazione. Questo non significa che non li debbano proteggere. Ma certi atteggiamenti vanno evitati: non si va, ad esempio, contro l’insegnate che ha ripreso il figlio. Il genitore deve saper dire di no e stare dalla parte dell’autorità. Serve un patto scuola famiglia, non uno scontro. Altrimenti la protezione sfocia nella fragilità con cui abbiamo a che fare».

Quando è precipitata la situazione?

«La situazione sta ancora precipitando. Dietro c’è un problema di diffusione di modelli sbagliati di comportamento che si apprendono per imitazione. Più si è esposti a modelli violenti, più saranno riproposti comportamenti violenti. Ha notato l’incremento di accoltellamenti tra giovanissimi? C’è una fioritura, un effetto scia. Molti che vengono trovati con un coltello in tasca rispondono che lo portano perché devono difendersi».

Ma da cosa?

«Anche da se stessi. Uno degli ultimi casi riguardava una ragazzina di appena 12 anni».

Esiste un antidoto a questo?

«È necessario un sistema educativo di gruppo. Il singolo genitore non basta. Perché se dico a mio figlio di usare il cellulare un’ora, ma quando esce i suoi amici lo usano tutto il giorno, il genitore più severo non avrà voce in capitolo. È un sistema condiviso tra genitori che crea un modello educativo. Su questo stiamo facendo un esperimento a Castagneto Carducci e Donoratico con il Comune e l’associazione “L’elefante invisibile” ».

E funziona?

«Dobbiamo combattere la cultura violenta che ora è predominante: tg, social, musica trap. Il messaggio sbagliato: più sei violento e più vali. L’obiettivo è fornire modelli positivi alternativi e regole educative condivise, magari usando le chat di classe per dare uniformità». 
 

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