Elezioni regionali in Toscana, scontro Renzi-Cgil sul sondaggio: i dem temono il caos con gli alleati
L’ex premier: «Spendono i soldi per fare politica e non per i lavoratori». Ma il sindacato smentisce: «Non abbiamo speso nulla, pensi piuttosto ai risultati»
FIRENZE. Matteo Renzi e i suoi contestano agli amiconi (eufemismo) della Cgil di occuparsi troppo delle poltrone dei “compagni” impegnati nelle elezioni e per nulla dei compagni nelle fabbriche. Ohibò, l’ex premier «farebbe bene a pensare ai risultati del sondaggio, anche perché il sindacato di soldi non ne ha spesi. Mi meraviglio che qualcuno si stupisca che ci interessiamo alle elezioni a e alla politica», ribatte il rossissimo segretario regionale Rossano Rossi. «Ma stiano tranquilli, il sondaggio non è costato niente alla Cgil che ha solo fornito una banca dati nel rispetto delle norme privacy. Ce l’hanno proposto con quel taglio, a noi pareva interessante e abbiamo accettato».
Insomma, sembra di stare fuori e dentro la prima Leopolda, perché sulla rilevazione realizzata da Yoodata su incarico della Cgil Toscana, e pubblicata in anteprima dal Tirreno, (ri)scoppia l’antica guerra fra l’ex rottamatore e il più importante dei corpi intermedi. I risultati piombano di prima mattina sulla scrivania del leader di Italia Viva e raccontano uno scenario che a lui pare fantasmagorico, «pilotato», confida ai suoi. Se il suo partito e quello di Carlo Calenda aderissero alla coalizione di centrosinistra alle prossime regionali in Toscana, il consenso di Eugenio Giani crollerebbe di 18 punti percentuali fra gli iscritti al sindacato, di 19 nella popolazione regionale. Tradotto: Renzi e il campo largo metterebbero a rischio il bis del governatore, dunque meglio puntare su una coalizione progressista composta da Pd-M5S e Avs piuttosto che allargare a Italia Viva e Azione. Insomma, in Toscana il Pd non andrebbe incontro all’iceberg che ha affondato le speranze di Andrea Orlando scaricando Renzi.
Uno scenario che Renzi reputa addirittura paradossale. Il senatore crede anzi che affidando a una chat il sondaggio e rendendolo pubblico, la Cgil abbia fatto autogol e abbia reso Italia Viva più forte nelle trattative con il Pd e Giani: «Immaginiamoci un operaio che sta per perdere il lavoro e vede che la Cgil spende soldi per commissionare un sondaggio invece di tutelare i diritti dei lavoratori, per fare battaglia politica e non battaglie nelle fabbriche, ma vi pare normale?», confida si suoi in mattinata. Un concetto che poco diventa una reazione pubblica. Su X l’affondo arriva da un fedelissimo, Davide Faraone, il capogruppo alla Camera: «A voi sembra normale che la Cgil Toscana utilizzi i soldi dei lavoratori per commissionare un sondaggio sugli orientamenti elettorali in vista delle prossime scadenze elettorali? A me no. Conosco bene la Cgil e so che il grosso del suo gruppo dirigente, nei territori e nei luoghi di lavoro, è impegnato ad occuparsi dei lavoratori e poco propenso a sostituirsi ai partiti politici». E ancora: «Purtroppo però qualche “simpatico” dirigente della Cgil, in Toscana, anziché occuparsi delle fabbriche in crisi, degli stipendi mangiati dall’inflazione, delle condizioni di lavoro dei rider, degli incidenti sul lavoro, cosa fa? Commissiona un sondaggio sugli orientamenti elettorali rivolto a 1001 iscritti alla Cgil. L’obiettivo del sondaggio? La cacciata di Italia Viva e Azione dalla coalizione di centro sinistra che governa positivamente da quattro anni la Toscana». Insomma, i renziani non danno credito alla rilevazione. Anzi, sottolineano che il 20% dei 1001 iscritti alla Cgil intervistati vota a destra e si chiede come sia possibile «dopo la lezione ligure che ancora oggi pulsioni come queste trovino cittadinanza e megafono nella comunità democratica».
È chiaro che in filigrana i convitati di pietra dello scontro siano il Pd e Giani. Emiliano Fossi, però, se ne tiene alla larga: «Come Pd regionale siamo interessati a costruire un’idea della Toscana del futuro che parta da una visione sul presente che guardi al domani, che parta dalle proposte e dai contenuti e non dalle alchimie decise a tavolino definendo i perimetri delle alleanze col goniometro», dice il segretario regionale dei dem. Una lunga perifrasi (eufemismo anche questo) per dire che il Pd non si farà dettare la linea da un sondaggio. Anche perché Fossi ha già altre rogne a cui pensare, dal pressing dei consiglieri regionali che chiedono una deroga alla regola del secondo mandato per ricandidarsi fino allo sblocco del bis di Giani.
L’ufficializzazione non è detto che arrivi dopo il voto in Umbria ed Emilia. Ancora troppe le tensioni interne, anche sul suo nome. Non solo. Non pochi dem hanno letto il sondaggio come una sorta di pressing del sindacato. «Ma non è che vogliono un posto in giunta?», c’è chi si chiede nel partito e fra gli alleati, pure in Avs e M5S, un po’ pensierosi sulla possibilità che nella lottizzazione dei consensi finisca anche la Cgil. In fondo, l’ex segretaria cittadina del sindacato a Firenze, Paola Galgani, ora è la vice di Sara Funaro.
Pure Giani schiva l’insidia: rischierebbe di entrare in rotta di collisione con due mondi a lui vicinissimi: Renzi e la Cgil dell’empolese Rossano Rossi. Il governatore ha apprezzato però che il suo consenso secondo il sondaggio veleggi al 51%, tre punti sopra quello con cui è stato eletto nel 2020. A dare manfirte all’ex premier arriva poi anche il lucchese Andrea Marcucci, capo dei Libdem: «La Cgil faccia il sindacato, non consigli alleanze politiche».
Ma Rossi è sferzante: «È un sondaggio interno sugli orientamenti dei lavoratori e dei pensionati, capisco che per qualcuno sia doloroso prendere atto della realtà emersa. Io vado nelle assemblee e vi dico che il sondaggio è perfino troppo buono. Gli operai dopo quello che gli ha fatto, quel nome, Renzi, non lo vogliono neppure più sentire rammentare. E poi, da noi ci sono anche elettori di destra? Be’, perché stupirsi? E’ naturale che un sindacato che conta in Toscana 500mila iscritti, e pure in crescita, abbia nelle sue file anche persone che guardano da quella parte. Se abbracci un toscano su sette può succedere. Fossi in Renzi mi preoccuperei delle dimensioni del suo partito».