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Valdicecina, un mese nel fango: soli e ancora in ginocchio

di Federico Lazzotti
Valdicecina, un mese nel fango: soli e ancora in ginocchio

Viaggio nella zona più colpita dall’alluvione del 23 settembre tra danni e difficoltà. Il sindaco: «Tanta solidarietà, ma per ora stiamo intervenendo solo con i nostri fondi»

24 ottobre 2024
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MONTECATINI VALDICECINA. Franca Tognoni, 74 anni, è affacciata sulla soglia di casa: grembiule bianco e occhiali da vista dentro ai quali si riflettono nuvole grige e nuove gocce di pioggia. Davanti a lei, un via vai lento e disordinato di camion, ruspe, trattori e operai che percorrono la strada dei Quattro Comuni, in località La Gabella, la più martoriata dal tornado di acqua, detriti, alberi e fango che ha travolto la Valdicecina il 23 settembre scorso portandosi anche via due vite: il piccolo Noah, appena tre mesi, del quale si sono perse le tracce, e la nonna Sabine, ospiti con il resto della famiglia di un B&B a poche centinaia di metri di distanza.

Il panorama, trenta giorni dopo, racconta la devastazione: tronchi di quindici metri spezzati come stecchini e ammassati lungo la strada, duemila rotoballe di fieno portate a valle e ritrovate addirittura a Cecina mare, carreggiate diventate così fragili che potrebbero cedere solo a guardarle, campi che erano coltivati trasformati in un deserto di melma dove ora crescono solo resti di qualsiasi cosa: auto, tavoli, elettrodomestici, pezzi di un’altra vita.

«Ero qui anche un mese fa - ricorda Franca - erano da poco passate le sette di sera. Jessica, la figlia di Claudia e Stefano che lavora al bar, ha salvato la vita a me e mio marito. Senza di lei non so come sarebbe finita. Di solito - va avanti - chiude bottega alle otto, ma era brutto tempo, pioveva, allora ha deciso di andare via prima perché non c’era nessuno. Quando si è affacciata - dice indicando quello che fino a un mese fa era il letto del torrente Sterza, dall’altra parte della carreggiata e ora è un cimitero di alberi - ha visto l’acqua che invadeva la strada. Per questo ha urlato».

Pochi minuti dopo la prima ondata che il letto del torrente non ha trattenuto dentro l’argine «perché rami e detriti avevano creato una diga che ostruiva anche i ponti». Poi una seconda, pochi muniti dopo, ancora più violenta, partita sempre dalla collina tra Monteverdi e Canneto. «Alle sette - va avanti Franca spiegando in due frasi il significato del dramma umano che sta vivendo da allora - avevamo tutto, quaranta minuti dopo, non avevamo più nulla. Siamo rimasti senza luce e telefono, al buio e in preda alla paura».

È aprendo la porta di casa che la settantaquattrenne indica il livello che l’acqua ha raggiunto in pochi minuti: un metro, forse qualcosa in più. «Io soffro di cuore, ho anche fatto un interventino. Per questo mio marito, quando Jessica ha urlato, mi ha detto di salire al piano di sopra. Ci siamo salvati così, scappando con l’acqua fino alle ginocchia. Ma di sotto è andato tutto distrutto: divani, elettrodomestici. Per fortuna ci sono persone dal cuore grande. Due nostri amici, quando hanno saputo che avevamo perso il congelatore e la lavastoviglie, ce ne hanno portati di nuovi».

Uguale, se non peggio, è andata al bar di fianco che prende il nome dalla zona "La Gabella" e di solito è un punto di riferimento per tutta la Valdicecina: colazioni, pranzi, due chiacchiere e una partita a carte. Da un mese, purtroppo, l’attività è chiusa. Stefano, il titolare, ha poca voglia di parlare mentre con un operaio cerca di riparare, uno per volta, tutti i danni: «Ho perso le parole - dice - fosse stato per me avrei chiuso per sempre». Così le conseguenze dell’alluvione le racconta la moglie Claudia Zucchetti, che è anche consigliera comunale: «Pensi soltanto che la piena ha trascinato a valle un albero che ha sfondato quel muro - dice indicando la parete a nord - dentro al bar l’acqua ha alzato tutti i banchi, scaraventato via la macchina del caffè e portato via salsicce formaggi. Un frigo alto un metro e mezzo è stato trascinato via dalla piena e non lo abbiamo più trovato. Io ha anche dovuto buttare l’auto. Ora la speranza è di riaprire tra qualche giorno».

La conta dei danni complessiva è ancora parziale, ma per una comunità così piccola, come quella del Comune di Montecatini Valdicecina e con scarse risorse, il rischio è che una calamità naturale di questa portata possa avere conseguenze per molti anni e magari penalizzare il turismo che ogni anno porta qui 76mila persone. Francesco Auriemma, sindaco eletto con una lista civica, carabiniere prestato alla politica, da un mese dorme poco per cercare di dare risposte a chi è in ginocchio o isolato in una delle frazioni. «La situazione è drammatica - dice facendo avanti e indietro a bordo della sua auto tra le zone più colpite -. Il giorno dopo l’alluvione la Regione ci ha chiesto una stima dei danni per accelerare i tempi degli aiuti: abbiamo detto sette milioni e mezzo di euro, poi abbiamo ritoccato verso il basso, arrivando a quattro. Ma di quei soldi per ora non c’è traccia. Al momento - spiega - stiamo intervenendo grazie a 70mila euro che abbiamo messo da parte fuori bilancio, meno di 40mila euro raccolti grazie alle cene di beneficenza e tanta solidarietà. Cosa chiediamo? Aiuti concreti e una semplificazione della burocrazia. Noi piccoli comuni non abbiamo la struttura di amministrazioni come Pisa e Livorno. Il responsabile della protezione civile sono io, ma sono solo. In Comune abbiamo diciassette dipendenti, due sono farmaciste. Di operai ne ho cinque, ma la mattina sono impegnati a portare a scuola i bambini che abitano nelle frazioni. Ditemi voi come possiamo fare. Eppure devo sorvegliare un territorio enorme che comprende 155 chilometri quadrati». Auriemma non pensa solo alla Valdicecina: «Questa è un’emergenza continua - ammette - in un mese ci sono state altre alluvioni, quella di venerdì scorso che ha colpito la Val di Cornia, ha picchiato anche qui, in particolare a Ponteginori. In questo modo aumentano i danni e le poche risorse vanno rimodulate tra i danneggiati».

Tra loro chi ha perso molto è Dante Pettorali. Il campo sotto la sua azienda agricola è stato spazzato via dalla piena del fiume. «Abbiamo rischiato grosso. Eppure fino a ieri avevamo una bella storia di speranza da raccontare. Una delle nostre mucche è stata travolta dalla piena. L’abbiamo ritrovata il giorno dopo, sana e salva, a sette chilometri e mezzo da qui. Era incinta. Speravamo ci regalasse un vitellino, invece stamani siamo andati nella stalla e ci siamo accorti che ha abortito. Succede quando gli animali subiscono uno choc simile».

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