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L’incontro

Tra umani e robot è tutta una questione di emozioni: riscoprire noi stessi grazie all’intelligenza artificiale

di Libero Red Dolce e Federica Scintu
Tra umani e robot è tutta una questione di emozioni: riscoprire noi stessi grazie all’intelligenza artificiale

Filosofi e scienziati si confrontano su come le macchine ci spingono a ripensare il nostro rapporto con il mondo, le emozioni e l'intelligenza

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PISA. «A fine 2022 una specie aliena è arrivata sul pianeta terra: Chatgpt, l’intelligenza generativa». E ha costretto sempre più persone a riflettere, magari distrattamente, su questioni che angustiano i frequentatori dei corridoi dei dipartimenti di filosofia: cos’è la coscienza, dove si trova, da dove viene il linguaggio? Una pressione notevole, converrete, per una specie che non è ancora riuscita a convincere alcuni suoi rappresentanti nell’evitare di urlare quando ci si trova in un vagone del treno.

Ci è parso giusto giusto iniziare questo articolo, che racconterà dell’incontro “Educazione Sentimentale” all’Internet Festival, con le felici parole introduttive di Eleonora Chioda sull’impatto straniante, alieno appunto, che intelligenze artificiali come Chatgpt hanno avuto su di noi. A discuterne in un dialogo tra filosofia e innovazione la scienziata Alessandra Sciutti, tra le maggiori esperte d’intelligenza artificiale e robotica al mondo, e Riccardo Manzotti, filosofo e ingegnere. In un appassionato confronto che ha messo in risalto la centralità, e in qualche modo la sfuggevolezza, delle emozioni nel complesso rapporto tra uomo, macchine e riflessione sulla coscienza.

Nuove domande sugli esseri umani a partire dall’intelligenza artificiale

“Che cosa sappiamo su noi stessi tramite l’Intelligenza artificiale?”, si è chiesto Manzotti in apertura. Da tempo la risposta sull’esperienza cosciente del filosofo italiano è originale rispetto a quella di molti colleghi. Nessuna uguaglianza tra mente e cervello, quanto piuttosto tra mente e mondo. “Oggi le macchine parlano, padroneggiano il linguaggio e lo fanno attraverso metriche numeriche. Alcuni, come Noam Chomsky e Luciano Floridi, dicono: “Sono pappagalli statistici”. Ma va detto: i nostri neuroni presi uno per uno non sono più intelligenti. Ebbene, oltre a essere una macchina che parla è anche una macchina che pensa? La domanda si ribalta: e noi, pensiamo? I pensieri, i nostri pensieri, li vedete, li sentite li toccate? Nel momento in cui una macchina parla non pone in dubbio una serie di pregiudizi che abbiano su noi stessi”. Acquisito il linguaggio, si chiede Manzotti, allora c’è anche pensiero nella macchina? “Noi crediamo di sapere che il mondo è fuori di noi e che dunque il noi non sia una cosa. Grazie all’intelligenza artificiale l’interiorità, un’invenzione che risale a S.Agostino, ci appare come una negazione del mondo fisico. Siamo come degli hikikomori metafisici”.

Bravi a fare cose difficili, incapaci con quelle semplici

Il punto di partenza di Alessandra Sciutti è un altro. Responsabile dell’unità CONTACT – Architetture Cognitive per Tecnologie Collaborative presso l’Istituto Italiano di Tecnologia, è la scienziata che lavora a stretto contatto con il robot umanoide iCub. Qualcuno la chiama “la mamma di Icub” o “la signora dei robot”. Tocca a lei introdurre la questione sulle emozioni, che in questo Internet Festival ha avuto modo di dimostrare la sua importanza nella fase attuale della ricerca in robotica, come dimostrano gli sforzi che stanno facendo i ricercatori toscani nell’evoluzione del robot adolescente Abel.

«Perché i robot assomigliano all’essere umano? Vogliamo che ci diano una mano, ma a dispetto dei grandi avanzamenti che abbiamo visto, quando devono interagire con noi ci troviamo con grandi fallimenti. A volte non capiscono come fare delle cose semplici, come quando stringerci la mano, mentre sanno fare cose per noi complicate come giocare a scacchi. Si chiama paradosso di Moravec. L’ambizione è creare macchine che abbiano capacità di fare cose semplici. E dunque, se non sono in grado di essere nostri collaboratori magari possono darci una mano nel processo. L’idea che nasce a un certo punto è di usare i robot per studiare lo sviluppo dell'intelligenza», spiega Sciutti.

Tutto gira intorno alle emozioni

Ed ecco che veniamo alla questione delle emozioni, un caratterizzante della nostra esperienza, al pari di sensazione e corpo. Irrinunciabile. E perciò da implementare nei robot. «Quando si deve arrivare all’ interazione con l’umano, dopo quella con l’ambiente, nasce un problema. La macchina è molto precisa quando misura un'ambiente, noi lo facciamo con molta meno precisione. Ma siamo in grado di capire, quando una persona compie un’azione che intenzione ha. Per avere comprensione reciproca servono emozioni, che sono fondamentali per gli esseri umani. E quindi rendere il robot capace di essere consapevole di un’espressione facciale e di leggerle per classificarle. Utilizzare le emozioni per consentirgli di decidere e quindi come e cosa ricordare e dimenticare. Avere degli obiettivi. Non si tratta di ricreare l’emozione umana nel robot, ma trarre ispirazione dalle nostre perché lui possa fare delle scelte in un ambiente».

Non è un cammino breve, perché le emozioni si sono dimostrate una sfida notevole per gli scienziati. Grandi progressi sono stati compiuti, iCub ne è uno degli esempi più avanzati. Altri arriveranno. Una strada tracciata per arrivare ad arrivare ad avere robot collaborativi, cioè robot che fanno delle cose fianco a fianco con le persone; oppure utili nel training e nella riabilitazione per affiancare il terapista, quantificando le performance e adattare e personalizzare terapia; o ancora nell’affiancare gli insegnati.

Aspettiamo, dunque, e continuiamo a interrogarci. Tempo ce n’è, ché come dice Sciutti “la strada per arrivarci è ancora lunga”. Confidiamo che una volta a destinazione troveremo ad attenderci anche un robot che gentilmente spiegherà che non è il caso di urlare quando si viaggia in compagnia nello scompartimento.

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